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La certezzza di Ungaretti

Roberto Filippetti

Anche nell’abisso di male nel quale l’umanità è precipitata nei giorni della guerra mondiale c’è lui, il Bambino del Natale,  la luce che irradia le tenebre e permette di vedere chiaro Ungaretti, ormai quarantenne, tornò alla fede cristiana – abbandonata nell’adolescenza – attraverso un’esperienza decisiva, accaduta nell’aprile del 1928: «la settimana Santa, nel monastero di Subiaco, dov’ero ospite del mio vecchio compagno don Francesco Vignanelli, monaco a Montecassino [...] seppi che la parola dell’anno liturgico mi si era fatta vicina all’animo». In quei giorni il poeta scrive quattro Inni che costituiscono il cuore del suo secondo libro: il Sentimento del tempo. Definirà questo gruppo di liriche e in particolare La Pietà «la prima manifestazione risoluta di un mio ritorno alla fede cristiana». In uno di essi il peccato originale è definito «felice colpa», proprio come si canta nell’Exultet della veglia pasquale, perché ci ha meritato un così grande Redentore. In un altro Inno, intitolato La Preghiera, egli chiede al Signore che torni evidente l’alleanza tra effimero ed eterno; supplica il Padre che doni serenità al figli; domanda che l’uomo torni a riconoscere il mistero dell’Incarnazione e Redenzione attraverso «l’infinita sofferenza» della Croce. La preghiera culmina in questo verso: «Signore, sii la misura,…

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