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La certezzza di Ungaretti

Roberto Filippetti

Anche nell’abisso di male nel quale l’umanità è precipitata nei giorni della guerra mondiale c’è lui, il Bambino del Natale,  la luce che irradia le tenebre e permette di vedere chiaro

Ungaretti, ormai quarantenne, tornò alla fede cristiana – abbandonata nell’adolescenza – attraverso un’esperienza decisiva, accaduta nell’aprile del 1928: «la settimana Santa, nel monastero di Subiaco, dov’ero ospite del mio vecchio compagno don Francesco Vignanelli, monaco a Montecassino [...] seppi che la parola dell’anno liturgico mi si era fatta vicina all’animo». In quei giorni il poeta scrive quattro Inni che costituiscono il cuore del suo secondo libro: il Sentimento del tempo.

Definirà questo gruppo di liriche e in particolare La Pietà «la prima manifestazione risoluta di un mio ritorno alla fede cristiana». In uno di essi il peccato originale è definito «felice colpa», proprio come si canta nell’Exultet della veglia pasquale, perché ci ha meritato un così grande Redentore. In un altro Inno, intitolato La Preghiera, egli chiede al Signore che torni evidente l’alleanza tra effimero ed eterno; supplica il Padre che doni serenità al figli; domanda che l’uomo torni a riconoscere il mistero dell’Incarnazione e Redenzione attraverso «l’infinita sofferenza» della Croce. La preghiera culmina in questo verso: «Signore, sii la misura, sii il mistero». È la radicale contestazione della pretesa moderna di porre l’uomo come «misura» del reale, e di abolire il «mistero» adorando la dea Ragione.

Dal ’36 al ’42 Ungaretti va a insegnare Letteratura italiana nell’Università di San Paolo del Brasile. Qui accade la tragedia: nel ’39, mentre già soffiano venti di guerra, suo figlio Antonietto, di nove anni, muore per una banale appendicite scambiata dai medici per una indigestione e mal curata. Nasce così il terzo grande libro ungarettiano: Il dolore. Di fronte a tanta violenza scatenata da uomini abbagliati da ideologie materialiste, più forte si fa la certezza religiosa del poeta; più netta la sua scelta per una «vera poesia» la quale, in contrasto coi tempi, trovi la forma adeguata – com’egli dice – «per annunziare prima e poi per attestare, sempre mossa da interno e immediato suggerimento, la venuta, la predicazione, la passione, la crocifissione, la morte, la resurrezione del Messia». E ancora: «La poesia riafferma sempre, è la sua missione, l’integrità, l’autonomia, la dignità della persona umana».

Tornato a Roma, sotto i bombardamenti, egli scrive nel 1943-44 il più grande Inno sacro del ’900, a conclusione della lirica Mio fiume anche tu. Il mondo è invaso dalle tenebre: suonano le sirene che inducono le madri coi bambini al collo a rintanarsi nei rifugi; le bombe sbriciolano i monumenti, segni radiosi su cui si fonda l’identità di un popolo; dopo l’epoca dell’emigrazione è giunta quella della «stolta iniquità delle deportazioni»; nei lager, nel gulag, nelle foibe, nelle fosse comuni «con fantasia ritorta / e mani spudorate / dalle fattezze umane l’uomo lacera / l’immagine divina».

Ma in tutto questo abisso di male c’è lui, il Bambino del Natale, la luce che irradia le tenebre e permette di vedere chiaro; colui che morirà in croce e risorgerà, roccia da cui sempre ripartire per riedificare una vita umana più umana. Lui, il Santo:

Vedo ora nella notte triste, imparo,

So che l’inferno s’apre sulla terra

Su misura di quanto

L’uomo si sottrae, folle,

Alla purezza della tua passione.

Fa piaga nel Tuo cuore

La somma del dolore

Che va spargendo sulla terra l’uomo;

Il Tuo cuore e la sede appassionata

Dell’amore non vano.

Cristo, pensoso palpito,

Astro incarnato nell’umane tenebre,

Fratello che t’immoli

Perennemente per riedificare

Umanamente l’uomo,

Santo, Santo che soffri,

Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,

Santo, Santo che soffri,

Per liberare dalla morte i morti

E sorreggere noi infelici vivi,

D’un pianto solo mio non piango più

Ecco, Ti chiamo, Santo,

Santo, Santo che soffri.

Un Inno sacro a «Cristo, pensoso palpito», cuore che pulsa palpitante d’amore per il destino di tanti poveri cristi massacrati dalla folle tracotanza luciferina di pochi.


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