Anno 133 - Maggio 2021Scopri di più

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Il campo dei ricordi

Germano Bertin

Ho un campo. Un campo che papà mi ha lasciato. Un campo che lui stesso, a sua volta, aveva ricevuto. Oggi: legame, continuità, consegna, collegamento. Un filo rosso. Per me: il campo dei ricordi. Lí tutto torna presente, vivo, vissuto, vivibile. Ricordo le mani, robuste e dinamiche, sicure e abili, solide e pronte di papà quando, a inizio primavera, cominciava la potatura del suo vigneto. Armeggiava sottili ramoscelli di vimini come fossero duttili funicelle con cui riusciva a dare forma e direzione a quei tralci piangenti che si mostravano già impazienti di crescere. Non mi stancavo. Quei gesti uguali, sempre nuovi a ogni movimento, mi catturavano. Restavo ore, a guardare. Catturato. Il suo silenzio, ricco di uno sguardo che vedeva già come sarebbero andate a finire le cose, diventava il mio. E stavo bene. Avevo la sensazione di essere in prima fila a gustare l’inizio di una cosa straordinaria, riservata a pochi. Ricordo, tuttavia, anche qualche suo sguardo severo, quando, per esempio, ancora bambino, avevo raccolto prematuramente alcuni grappoli d’uva, ancora acerbi: uno spreco imperdonabile per lui, uomo essenziale e attento ai dettagli. Per me, quello è anche il campo dell’apprendimento. Lí ho imparato a prendermi cura io stesso della…

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