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Il puzzle di Francesco

Gabriele Pedrina

Lo sapete bene anche voi: i pensieri che abbiamo sulla vita, su Dio, sul futuro sono come i pezzi di un puzzle, e neanche tutti,  di cui non conosciamo il disegno. Occorre quindi studiarli insieme

Nei giorni in cui si chiudeva il Sinodo sui giovani ero ad Assisi, la terra di san Francesco. Non so cosa sappiate di lui; un tempo i racconti della sua vita erano conosciuti al pari delle imprese di Garibaldi o della nazionale di calcio. Oggi non so, voi ragazzi, cosa sappiate del lupo di Gubbio, di san Damiano o di quando in piazza si tolse tutti i vestiti, “anche le mutande”, per restituire ogni cosa a suo padre e iniziare una nuova vita...

Cosa sono quegli occhi sgranati e quel sorrisino che mi pare di vedere nelle vostre facce? Sì, sì. Nudo completo. E se lo fece in piazza, non fu per sua scelta, ma perché il padre ce l’aveva portato convinto che gli occhi giudicanti della gente e lo sguardo severo del vescovo l’avrebbero indotto a lasciare i suoi progetti a dir poco “rivoluzionari”. Ma non fu così. Primo perché del giudizio della gente gli interessava meno che zero. Secondo perché il vescovo ne restò così ammirato che non ci pensò due volte a schierarsi dalla sua parte.

All’epoca Francesco aveva 24 anni. Non era un ragazzo, ma neanche un uomo che ha già un lavoro, una casa, una famiglia... un adulto, insomma, che giovane non è più. Eppure, ha scosso gli animi di una città, dividendoli tra indignati e fan, ha portato suo padre a misurarsi con la propria meschinità e un vescovo a piangere lacrime di commozione. Non era nessuno, eppure a 27 anni ha tormentato i sonni e i sogni di un papa, solitamente abituato a risolvere le incomprensioni a suon di scomuniche e spade, il quale vedeva in lui qualcosa che non capiva e allo stesso tempo lo sentiva buono e sincero.

Da parte sua, Francesco era proprio un padre che cercava, visto che il suo aveva più l’ambizione di farne un proprio clone piuttosto che di accompagnarlo a trovare il suo posto nel mondo. E – ma guarda un po’ – il primo ad abbracciarlo come un papà e a proteggere la sua ricerca fu un vescovo e a dirgli “Ora vai” fu un papa. Proprio come fossimo al Sinodo sui giovani!

Durante il Sinodo in molti hanno portato le loro riflessioni e le loro esperienze, «che – dicono i vescovi - hanno generato in noi commozione». Pure questi, non si vergognano delle lacrime! Per dare ordine ai pensieri si sono rifatti a quanto accadde ai discepoli in fuga verso Emmaus. Iniziano ricordando Gesù che, senza farsi riconoscere (d’altra parte l’ultima volta che l’hanno visto era inchiodato su una croce), cammina al loro fianco ascoltando la loro storia. Iniziano così perché la cosa che è apparsa più chiara di ogni altra è che i giovani chiedono di essere ascoltati e agli adulti fa bene ascoltarli.

Lo sapete bene anche voi: i pensieri che abbiamo sulla vita, su Dio, sul futuro sono come i pezzi di un puzzle, e neanche tutti, di cui non conosciamo il disegno. Non si aiuta nessuno, tanto meno un giovane, credendo di conoscere il disegno o, peggio ancora, sostituendo i pezzi con i propri. Chi condivide con voi il cielo e la strada, chi cerca con gli occhi nello stesso paesaggio, chi è lì quando inciampate e a voi si appoggia quando è stanco, chi c’è già stato, ma è sempre la prima volta: con lui o lei potete cercare risposte alle vostre domande. Ma anche per loro voi siete una benedizione, perché è attraverso il vostro sguardo libero e spregiudicato che cadono le incrostazioni, mutano le prospettive e il mondo ci riappare come non lo vedevamo più.

Il vescovo Guido e il papa Innocenzo si ritrovarono a fare cose che non immaginavano. E, chissà, forse anche per Gesù fu una sorpresa ritrovarsi a Emmaus, dentro una locanda. Magari fu proprio quel nome “Casa del Pane” e quell’ambiente a mostrargli il gesto, un pane spezzato, che avrebbe, finalmente, ricomposto il puzzle.


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