Anno 132 - Luglio-Agosto 2020

Fuori della porta ci aspetta... un mondo!

Gabriele Pedrina

Dicono che c’è gente, anche ragazzi, che fan fatica, ora che si può, a uscire di casa. Oddio, come li capisco! Dovete sapere che da bambino mi ammalavo spesso: influenze interminabili con febbre e placche in gola che mi facevano compagnia per settimane. Mia madre, per non sapere né leggere né scrivere, mi teneva in stretto isolamento finché non mi fosse passato tutto. Ma il periodo più lungo è stato alla fine del liceo, quando presi il morbillo.

All’epoca ti mettevano in quarantena che non era di 14 giorni, ma di un mese buono. L’isolamento era pesante. Quelli di casa era come non ci fossero (a parte mamma). Amici e compagni di classe all’inizio venivano a trovarmi, fosse solo per prendermi in giro d’essermi preso una malattia da bambini, e poi, con il passare del tempo, sempre meno. Internet non c’era, i cellulari non esistevano e quello di casa era fisso sul muro lontano da camera mia.

Noia e Solitudine, quelle sì venivano a trovarmi tutti i giorni! Poi le giornate, senza tanto farsi pregare, sono passate una alla volta ed è arrivato il momento in cui potevo tornare ad uscire. Panico. Il timore, a dirla adesso, era quello di non essere visto, che tutto il mio mondo si fosse oramai abituato ad andare avanti senza di me e non avesse ragioni per farmi rientrare. Era una sensazione stranissima, come quella di essere smaterializzato proprio quando, finalmente, rivedevo i miei amici, potevo dare il cinque e sganasciare insieme rincorrendo un pallone. Temevo che tutto questo non potesse più essere. Ma gli amici son amici per qualcosa e tutto è tornato velocemente come prima. Io la penso così. Whatsapp e tutti gli altri social ci hanno aiutato un sacco a tenere i rapporti, ma è pur sempre vero che avevamo a che fare con – vediamo se mi capite – “rappresentazioni”.

Provo a spiegarmi: a teatro un bravo attore che piange ti può commuovere, ma se è tua madre che piange, questo ti strazia. Se in un film ridi perché uno cade dalla sedia, quando a cadere è un tuo compagno ti sbellichi dalle risate. Una litigata al telefono non la chiudi mai al telefono: hai bisogno di incontrarti con l’altro, di sentire le sue vibrazioni, di mettere insieme le sue parole con le sue mani che si agitano, di stringerlo o di respingerlo, di avere a che fare con lui e non con le tue fantasie su di lui.

Tutto questo per dire che le persone che ci stanno davanti emanano un’energia imparagonabile a quella che riceviamo in una chat o anche in una video chiamata. Alla fine è un fiume di energia così forte che da una parte ci manca, dall’altra temiamo di non riuscire più a entrarci. Come se ci sentissimo maggiormente al sicuro dentro alle nostre più o meno comode fantasie, che non nella realtà.

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