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Fermati un attimo per ripartire da te

Gabriele Pedrina

Un ragazzo entra in un negozio e chiede un quaderno. Il commesso parte con mille domande: a righe o a quadretti, per scuola o personale, solo per lei, testi lunghi o appunti, penna o matita? Il giovane resta spiazzato, quando un altro cliente entra spazientito e sbotta: «Ecco le foto delle piastrelle e del water, ora me lo dà un rotolo di carta igienica?». La scena fa ridere, ma dice qualcosa di vero: ci dà fastidio quando qualcuno ci rallenta. Siamo abituati a decidere in un click, ordinare su Amazon, pagare e aspettare il corriere. Nessun commesso che ti chiede dettagli inutili.

Chi è nato con internet non ha quasi mai conosciuto l’attesa. Il “subito” è la normalità. Vale per lo shopping ma anche per parlare: messaggi da tre parole, emoji, abbreviazioni, note vocali sparate una dietro l’altra. O i commenti ai post, scritti di fretta solo per esserci: un cuore, un insulto, un “lol”. L’importante è far vedere che sei sul pezzo, non dire qualcosa di sensato. Ma non sempre la velocità è un vantaggio. A volte serve lo stop, il buffer, la pausa tra un’azione e l’altra. Pensaci: quando Netflix ti chiede “Vuoi continuare a guardare?”, può darti fastidio, ma è anche il momento in cui ti rendi conto che stai per buttare via la notte. Con i video giochi succede lo stesso: senza tempi morti tra un livello e l’altro non avresti il respiro per ricaricare, riflettere o cambiare strategia. La tecnologia ti ha già tolto gran parte delle attese: non devi più andare in centro per comprare musica, un vestito o un libro. Non devi girare tra le enciclopedie per un’informazione. Una mail parte e arriva subito dall’altra parte del pianeta. Ma allora tutto il tempo che risparmi come lo usi?

Puoi spenderlo per non reagire a caldo davanti a una critica, per ascoltare davvero chi ti contraddice, per decidere con calma come rispondere a un messaggio che ti ha punto. Oppure puoi usarlo per cercare qualcosa di nuovo, fuori dal solito algoritmo che ti propone sempre le stesse serie, gli stessi artisti, gli stessi video. Magari pensi: «Se rallento, gli altri mi superano e io resto indietro». Ma gli altri non sono concorrenti e il dialogo non è una gara: non si vince arrivando prima, si vince capendo di più. L’ansia spesso nasce proprio da questa corsa continua a stare al passo, come se ogni parola o scelta fosse una sfida da giocarsi al millisecondo. Ma se smetti di vedere gli altri come avversari e cominci a considerarli compagni di viaggio, quella pressione cala. Fermarti un attimo non significa perderti qualcosa, significa avere lo spazio per ascoltare meglio, vedere dettagli che nella fretta ti sfuggono, scoprire possibilità nuove. E magari scoprire che non c’è solo da preoccuparsi di “restare indietro”: c’è anche da entusiasmarsi per ciò che puoi capire e costruire insieme agli altri.

C’è chi ritiene che l’intelligenza artificiale ci farà pensare di meno, perché farà tutto lei e noi risparmieremo altro tempo. Forse. Ma potrebbe anche essere il contrario: che continui a metterci davanti a domande nuove, a rallentarci e costringerci a vedere le cose da angolazioni diverse o addirittura a fermarci smascherando vecchi dubbi che tenevamo nascosti. E poi, magari, a forza di interagire con essa ci torna il piacere di discutere tra noi con calma, senza cronometri addosso.

La verità è che la velocità non è un male in sé. Ma se non impari a dosarla, rischi di vivere come in un feed infinito: scrolli, scorri, consumi, ma non ti resta nulla. Il punto è scegliere quando correre e quando fermarsi. Perché solo nelle pause puoi davvero capire se quello che stai guardando, ascoltando o dicendo vale il tempo che gli stai dedicando.