Anno 134 - Marzo 2022
Una religione casalinga?
Don Livio Tonello, direttore

Durante questi mesi abbiamo riscoperto una dimensione importante della fede. Una fede vissuta tra le mura domestiche non avendo accesso libero o consigliato ai luoghi celebrativi delle nostre comunità ecclesiali. Lo possiamo definire un tempo di grazia – anche se segnato da tanta sofferenza – perché abbiamo avuto la possibilità di cogliere gli indizi di una pratica della vita cristiana non legata alla sola dimensione comunitaria e alla ritualità della Messa domenicale.
Le “celebrazioni casalinghe” hanno illuminato più aspetti della nostra identità cristiana e approfondito il senso del “sacerdozio comune”. Che non riguarda primariamente i riti e il culto, ma esplicita un “sacerdozio dell’esistenza”. È stato un esercizio di libertà e di responsabilità nel vivere l’offerta della vita nella quotidianità. Nella tradizione ebraica la casa costituisce uno spazio privilegiato per crescere alla luce della fede, nella quale testimoniare e celebrare la memoria della salvezza operata da Dio. Casa è luogo in cui vivere e celebrare l’opera di liberazione compiuta da Jahwè.
Gesù ha realizzato la sua missione non solo nelle strade, nelle sinagoghe o nel tempio, ma sovente nelle case. Il Vangelo si inserisce nella storia a partire dalle abitazioni: la casa di Nazareth dove Gesù cresce; le case in cui è accolto in amicizia e condivide la parola (Marta e Maria; Zaccheo), quelle in cui compie guarigioni; le case che sono luogo di banchetti, fino alla stessa ultima cena con i discepoli. Anche la prima comunità cristiana ha riconosciuto nella casa uno spazio dello Spirito, un luogo di evangelizzazione e di preghiera come ci raccontano gli Atti degli Apostoli.
Vi troviamo affermata la realtà di chiesa “presso” la casa di Priscilla e Aquila, di Ninfa a Laodicea, di Lidia a Filippi, di Cloe e Stefana. Non è solo “casa” come luogo di ritrovo, ma il gruppo umano più ampio della famiglia che includeva i parenti, gli schiavi, i salariati, talora soci e collaboratori. Per noi oggi la casa è prima di tutto luogo degli affetti e delle relazioni in cui veniamo generati alla vita (casa natale), in cui ci formiamo una identità e in cui veniamo educati al vivere. Lungi da idealizzarla, è anche abitata da tensioni, conflitti, talora gravi, che sfociano in violenze psicologiche e fisiche.
Uno spazio, tuttavia, che avvertiamo “nostro” e che plasma, in ogni caso, la nostra umanità e il nostro riconoscimento. È stato quindi un dono aver sperimentato le mura domestiche come primo luogo dove la Parola di Dio deve risuonare e come spazio celebrativo. Una possibilità che non deve concludersi con la fine della pandemia. La necessità ci ha reso consapevoli che, come per Gesù, anche per i cristiani non ci sono luoghi sacri e luoghi profani, azioni sacre e azioni profane, persone consacrate e non.
Tutto è alla presenza della santità dell’amore di Dio. Parole in/audite sgorgheranno dalla orazione casalinga, auspicabile impegno per questa quaresima. Parole nuove per dire la nostra fatica, la nostra speranza e i molti desideri per invocare sguardi di benedizione dalla vicinanza di Dio.