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Una luce diversa negli occhi di Augusto

Laura Galimberti

Augusto De Luca, 65 anni, è un fotografo di fama internazionale. Studi classici e laurea in giurisprudenza, si appassiona per gioco all’immagine o meglio, come dice lui, “per conoscere le ragazze”. Tra i suoi scatti più famosi: Renato Carosone, Carla Fracci, Pupella Maggio, Giorgio Napolitano, il Cardinale Sepe.

Le sue opere sono state in mostra tra l’altro a Milano, New York, Pechino, Lione, Goteborg. Sono sue le immagini delle schede Telecom prodotte in vista del cambio all’euro, con quasi 7 milioni di pezzi distribuiti. Premio città di Roma con Ennio Morricone per il volume “Roma nostra”, esprime dal 2005 un grande amore per la street art, che lo porta a caccia di graffiti per Napoli e per questo viene anche chiamato “il Cacciatore di graffiti”.

Ne colleziona più di 200 pezzi, scollandoli dai muri su carta, per valorizzarli e salvaguardarli. Nel 2011 come performer denuncia una situazione di degrado a Napoli organizzando in piazza del Plebiscito una partita a golf nelle buche stradali con grande partecipazione spontanea dei napoletani. Una vita piena di successi, amicizie con personaggi famosi del mondo dello spettacolo e della cultura, onori. «Mi ero mangiato il mondo per riempire una mancanza di amore» racconta. «La mia vita era bellissima per il mondo: feste, divertimenti, soldi, mostre, pubblicazioni.

Tutto questo riempiva momentaneamente il mio vuoto. Ero schiavo. Se una pubblicazione saltava, mi innervosivo, andavo fuori di testa. Nulla saziava il deserto che avevo». Una famiglia benestante, figlio unico, il padre medico e la madre casalinga, entrambi praticanti. «Andavo in chiesa per guardare le ragazzine. Non capivo quello che diceva il sacerdote, né la Parola. Era un qualcosa di scaramantico, bisognava andare».

Entra in crisi. «La grazia della depressione. Sì una grazia, perché ti fa capire esattamente che tutto quel che hai può mancare da un momento all’altro. Ti rade al suolo. Tutto è inutile. Metà di me voleva vivere, l’altra metà voleva farla finita. Non hai la possibilità di far cessare il male, che avverti nello stomaco e nella testa, con una pillola. Vorresti un pulsante perché questo dolore cessi». Augusto viveva da solo. «Misi le foto di mia figlia in tutte le stanze, ma non mi bastava».

Da qui parte tutto. «Dovevo trovare dei punti di riferimento, delle altre certezze. Il passo principale è il tuo desiderio di cercare. Una chiamata che non capisci». Inizia a leggere testi sulle filosofie orientali, frequenta i buddisti. Poi “per caso” qualcuno lo invita a un incontro a Napoli nella parrocchia del Corpus Christi di via Manzoni. «Non avevo nulla e non ci credevo neppure, ma ho deciso di andare».

Entra in chiesa, durante le catechesi che precedono l’ingresso nel “cammino neocatecumenale”. «Ho incontrato alcune persone, che poi ho scoperto essere i catechisti. Mi colpiscono. Hanno una luce diversa. Sono fotografo e lo noto bene. Non hanno rughe o meglio traspare una serenità tale che distende i loro volti, qualcosa di sovrannaturale. Sono attratto dal loro ripetere: voi non dovete fare nulla. Fa tutto lui. Io ero talmente a terra che non avevo proprio la forza di fare nulla.

Mi dico: è il posto per me!». Dopo i primi passi decide però di non continuare. «Il “cammino” non è una linea retta. Cercavo come un pazzo qualcosa. Un appiglio solido. Ma ero ancora con due piedi nel mondo. Nel momento in cui mi sono sentito meglio ho pensato di non averne più bisogno, neanche di Dio. È stata la mia rovina. Sono caduto in una seconda depressione, nella stessa vita di prima, priva di contenuti». Per tre mesi resta inchiodato al letto con le flebo, «senza anima, senza voglia di fare niente. Lì ho capito.

Dovevo finire questo percorso. Come avevano fatto gli Ebrei nel deserto. Quella era la mia storia, quella di ciascuno, una storia di liberazione, fatta di cadute e riprese. Appena mi sono sentito meglio sono corso in “cammino” e ricordo bene un momento. Ero a una convivenza, a tavola. Sento una delle presenti dire: Questa comunità è proprio bella. Ho percepito una tenerezza che mi ha preso completamente, durata 5/6 mesi.

Non ho avuto visioni, ma il piacere di essere in relazione con i fratelli intorno a me, uniti in Gesù. Ricordo quel momento, il momento della mia vita, il mio “superenalotto”. Gesù è davvero un grande affare». L’esperienza di incontro con il “cammino neocatecumenale” ha fatto la differenza nella sua vita: «Sono persone che diventano più che fratelli, con cui si sperimenta una relazione di comunione bellissima.

Ci vediamo molto spesso, anche tre volte a settimana. Si approfondisce la Parola, attraverso catechesi che ti scuotono, insegnano e provocano un discernimento profondo, aiutano a comprendere la tua storia, verificare chi sei, dove vai, con umiltà senza superbia. Più si va avanti e più si approfondisce: un viaggio meraviglioso nella Scrittura». Tra tutte le fotografie oggi è l’ultima, «come l’ultimo figlio», a rappresentarlo di più: «Scattata a Maurizio Di Giovanni, grandissimo scrittore. Domani ne farò un’altra e sarà quella la più bella!».

Un approccio alla fotografia profondamente cambiato nel tempo, grazie alla conversione. «Mentre prima mi interessava il successo a dispetto della creatività, dopo l’incontro con Gesù ho compreso che era un dono, un talento, un carisma che mi rende partecipe della creazione e della sua bellezza». Una ricerca che passa da ogni suo soggetto: «Cerco lo spirito, la profondità della persona, ma anche me stesso in loro.

Le mie fotografie sono spesso correlate a oggetti o inquadrature particolari. Lì ci sono io. Un modo di fare analisi. Quell’oggetto è parte dal mio sentire, un’inspiegabile attrazione». Per estraniarsi dal contesto urbano di Roma, racconta «mi sono messo le cuffiette e ho fotografato tutta la città ascoltando il Requiem di Mozart». Città, ritratti: l’opera continua ora anche per puro piacere, con scatti di personaggi cari: da Enzo Avitabile, a Maurizio Di Giovanni, «persone che mi hanno insegnato qualcosa, mi hanno accompagnato in tratti della mia storia».

Augusto oggi è felice «non perché non abbia tribolazioni, ma con Lui vengono dimezzate, anche in base alla tua capacità di affidarti. Più Lo conosci, più Lo ami, più ti affidi. Leggo molto le vite e le opere dei Santi, persone normalissime, attraverso cui capisco situazioni che capitano a me, momenti di buio, di mancanza di fede, normali in ogni cristiano. Non mi lascio deprimere o impaurire. Gesù non leva niente. Ti fa godere quel che hai, perché non hai più paura di perderlo. Diventa Lui il valore assoluto e tu sperimenti di essere veramente un uomo libero».