Anno 131 - Luglio/Agosto 2019Scopri di più

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Tanti saluti

Arianna Prevedello

- Salutami bene, dai… per favore.
- Cioè?
- Dimmi un pensiero dolce. Una coccola di parole.
- Eccheneso!
- Un “Ti voglio bene”.
- Buonanotte.
- Dai…
- A domani. Alle 20 sotto casa tua.

Ripose il telefono sul comodino. Aveva ancora fame. Si alzò dal letto tutta sbilenca. Il piede sinistro finì subito contro lo spigolo del comò. Iniziò a piangere come stesse solo aspettando un buon motivo per farlo. Nel frigo c’erano delle patate arrostite con
erba cipollina. Le aveva fatte ancora mercoledì. Erano tante. Se le era dimenticate dietro la catasta di yogurt. Il tempo di togliere la pellicola dalla pirofila ed erano già finite. Non si lavò nemmeno i denti. Si rimise subito su un fianco cercando di trovare il calore che non aveva trovato in lui. Un uomo che le lasciava un freddo alle ossa paragonabile solo all’umidità padana.

Non era per niente contenta di cosa le sussurrava quella voce che pareva destarsi da dentro come un grillo maleducato che sa
già tutto. Si addormentò lo stesso. Sulla qualità del sonno c’erano ampi margini di miglioramento, anche se si sa che il mattino
arriva comunque. Eppure non era la sveglia. L’aveva tolta ieri sera nella tristezza cosmica di non sentirsi di nessuno, benché ormai sapessero tutti che si era messa con lui. Lo sapevano perfino le zie e il portiere della sua azienda che l’aveva vista più volte salire nella sua auto. Si era ormai compromessa con gli altri, ma lui non la salutava bene.

Voleva soltanto dormire e non pensare a questa strana sensazione. Cos’era allora che suonava?
Di nuovo. Iniziava a ricordare qualcosa di simile a quello che stava sentendo in lontananza. Si alzò. Aveva chiuso anche la porta
della sua camera, cosa che non faceva mai, quasi volesse murarsi viva. Riprese lo stesso spigolo della notte, ma stavolta non pianse. Solo un’immensurabile fatica ad aprire gli occhi. Una cascaggine che aveva a che fare con la fatica di guardare in faccia la realtà.

Trovò la maniglia e finalmente aprì.

- Mamma?!
- Ciao, tesoro mio.
- Che ci fai qui di sabato mattina alle 7.30? È osceno averti qui. Ho voglia solo di dormire.
- Dai… dai… oscene saranno le condizioni del tuo appartamento. Vai a farti un giro, che io pulisco. Fai shopping o in palestra o fatti una passeggiata, ma non puoi vivere nell’orrido. Con gli orari che fai figurati se ti pulisci l’appartamento.
- Ma di cosa stai parlando?
- Guarda che lo vedo che non torni prima delle 22 tante sere. È tanto se mangi qualcosa di commestibile.
- Mamma, ho preso una signora delle pulizie. Ma come ti permetti di dirmi tutte queste cose? Non sono mica papà a cui fai da madre più che da moglie.
- Perché mi rispondi così?
- Perché ho 46 anni e non è possibile che tu venga sotto casa mia a vedere a che ora torno dal lavoro. Devi lasciarmi spazio. E se anche fosse sporco, è un problema mio a questa età e tu non puoi far altro che accettarlo.

Aveva richiuso la porta. L’aveva fatto davvero. L’aveva accompagnata piano per non svegliare tutti i condomini del pianerottolo. Lì dietro una madre che aveva appena ricevuto una porta in faccia. Anche su questo c’erano margini di ampio miglioramento.
Si era seduta per terra. Lì vicino al letto. Le pareva impossibile di averle impedito di impadronirsi dello sporco di casa. Di averla lasciata fuori dalla sua vita. Senza contare che non era per niente il modo di mettere giù il piede dal letto. Tanto meno per chi si era coricato di suo già abbastanza triste e ingurgitando più del necessario. Non le veniva da piangere.

Neanche per sogno. Era scombussolata, ma al contempo quasi fiera di aver messo un limite, un argine tra lei e il ventre che l’aveva messa al mondo. Un gesto così impensabile nella storia delle due tanto da non indurre la madre nemmeno a risuonare.
Se ne stette lì a fissare il vuoto per almeno due ore. Qualcosa era successo e venne interrotto soltanto dal suono di un messag-gio. Era lui, quello che non salutava bene né all’alba né al tramonto. Non lo lesse, imbracciò soltanto il telefono e gli rispose con un ermetico “tanti saluti” cancellando il numero. Aveva detto un no qualche ora fa che ne aveva spalancati altri. Aveva un senso di dignità che la guidava. Non c’era più nulla da mendicare.

Né un po’ d’amore da quest’uomo, né un po’ meno amore dalla madre. C’era solo da provare a dire quel tanto agognato “anche
no”. Un “tanti saluti” che suonava come un alzare i tacchi, una fuga tutto sommato legittima da chi non ci salutava bene, da chi non trova la strada verso le parole dell’amore.
Dopo aver accompagnato tutti alla porta, si era messa anche a pulire, anche se la signora era già passata a metà settimana. Sentiva un’energia insolita, quasi un abbozzo di sorriso. Suonò ancora il cellulare. Guardò con l’idea che fosse ancora lui, invece era la madre che di recente aveva imparato a mandare anche i messaggi.

- Ho fatto l’arrosto. Vieni a pranzo? Ho messo anche le patate. Ne ho messe tante.
- Anche sì.
- Ci sono anche tuo padre e tuo fratello. Ti aspettiamo!
- Pensa che se eravamo solo io e te… sarei venuta lo stesso.
- Grazie.

Non si chiesero mai scusa, ma niente fu più come prima. Da lì in poi fu solo meglio.