Anno 132 - Aprile 2020

Le “buone” abitudini

Gabriele Pedrina

Io non so a che punto siamo della storia... state usando anche voi la mascherina? Da oggi che scrivo (fine febbraio) a quando voi leggerete potrà essere successo di tutto. Magari neanche più vi ricordate del Corona Virus, oppure ci siamo impestati come, in questo momento, neanche immaginiamo. Io mi auguro con tutto il cuore che voi, da lì, possiate vederne la fine: o come qualcosa che è già accaduta o verso la quale ci si sta incamminando a passi svelti.

Fatto sta che già oggi quest’epidemia ci ha scosso un po’ tutti. Ieri in treno un ragazzotto di poco più di vent’anni, che mi sembrava appena uscito da un rave party, dopo essersi soffiato il naso ha tirato fuori dallo zainetto la sua boccetta di amuchina e si è disinfettato le mani. «Se lo fa lui - mi son detto - qui la cosa è seria», dove “seria” significa che sono rimasti in pochi a fare spallucce di fronte alle raccomandazioni di questi giorni.

Almeno questa mi sembra una buona cosa: il Corona Virus ci sta spolverando di dosso un bel po’ di superficialità, quell’atteggiamento sufficiente di chi non dà peso a ciò che gli capita attorno. Se da una parte questa superficialità è per voi ragazzi un buon anticorpo contro le pesantezze di noi adulti che vi vorremmo uguali a noi, con le stesse nostre “buone” abitudini - a volte sane, a volte semplicemente di comodo - , dall’altra può essere molto pericolosa, lasciandovi vagolare in una leggerezza piacevole.

La domanda è: dove vi troverete quando il palloncino scoppierà: sopra un morbido prato o un campo di ortiche? Quindi ben venga riconoscere che lavarsi le mani con cura o coprirsi la bocca quando si starnutisce non è roba da vecchi, ma un gesto di intelligenza. Ben venga imparare a mettere da parte quel “Ma tanto a me che mi frega” di chi si sente intoccabile perché a lui certe cose non interessano. La superficialità non è nemica solo della salute. Pensate a quando il mister non vi mette in squadra perché invece di allenarvi vi piace fare i buffoni.

Qualcuno vorrà pensare che è l’allenatore che è un rompi, e che non gli interessa scendere in campo, tanto lui nella piazzetta del paese sa di essere il più bravo. Lui ne è convinto, perché si ferma alla superficie, a quella crosticina, fatta dai pregiudizi e dalla poca voglia di vedere cose scomode, che ricopre la realtà e la nasconde. ... ma non è così! La nostra superficialità può far danno non solo a noi, ma anche ad altri, e in modo molto serio. In questi giorni è Pasqua: Gesù che risorge, dopo essere morto... ammazzato.

A metterlo in croce non è stato solo il calcolo raffinato di qualche potente, ma anche la leggerezza di tante singole persone che non hanno cercato un perché al loro gridare “Libera Barabba” anziché Gesù, o la poca serietà di Pilato a cui non interessava la verità, ma non avere rogne per il fine settimana. Il male non arriva necessariamente da persone intelligenti; il più delle volte è il frutto della banalità (leggetevi Hannah Arendt!). Un virus, per quanto con la corona, sostanzialmente è banale: fa quello che fa, senza darsi un perché.

Lo fa bene, ma da stupido, al punto tale da uccidere quello stesso organismo che lo tiene in vita. Il bene invece chiede pensiero e volontà, chiede la disponibilità a lasciarsi toccare dagli altri senza scivolarci in mezzo, di vivere l’amore sapendo che può costare, di volere la vita senza aver paura della morte. Il bene non è mai superficiale, però sa rendere leggero il cuore, distinguendo le cose preziose dalla zavorra, ciò che intossica da ciò che dà energia. Magari presto non avremo più bisogno delle mascherine, però, chissà, avremo imparato a essere leggeri senza essere superficiali.

Archivio giornaleLeggi tutto