Anno 133 - Giugno 2021Scopri di più

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La parola nasce dal silenzio

fr. Antonio Ramina

Stare in silenzio è forse una delle cose più difficili da fare. Ci può capitare, certo, di pensare: «Che bello se potessi stare un po’ in silenzio! Quanto mi piacerebbe ritirarmi un po’ in silenzio!». Tuttavia, appena riusciamo ad avere del tempo per noi – e tante volte sembra proprio un lusso! – quel silenzio che abbiamo tanto desiderato trova subito dei nemici nascosti contro cui lottare!

Ci viene in mente una telefonata da fare, ci pare che sia urgente un lavoretto da svolgere, sentiamo il bisogno di leggere una notizia, ci vien voglia di ascoltare una certa musica... Insomma: il silenzio vero è tutt’altro che facile, ci pare innaturale. Non parliamo poi di quelle situazioni in cui ci troviamo in mezzo ad altre persone: tacere e ascoltare è, ancora una volta, un atteggiamento per nulla spontaneo.

Sentiamo il bisogno di dire la nostra, di far sapere la nostra opinione, di dimostrare che anche noi abbiamo qualcosa da dire. Potremmo fare tantissimi esempi che testimonierebbero tutti come il silenzio sia un’attitudine impegnativa, che richiede una certa determinazione. Potremmo chiederci: «È importante il silenzio? Bisogna proprio farlo?». Alcune osservazioni interessanti ce le offre Sant’Antonio, il quale arriva addirittura ad affermare che senza il silenzio non è possibile la fede: «La parola “lingua” deriva da “legare”, e chi non la tiene legata con il silenzio, dà prova di essere senza religione.

L’inizio della religione è il tenere a freno la lingua». Proviamo a ritradurre in un linguaggio a noi più vicino. È come se il Santo affermasse: per entrare nella fede, per iniziare un cammino spirituale, è necessario abitare nel silenzio. E sono tanti i significati di tale esortazione. Una prima osservazione, forse quella più immediata da cogliere, sta nel fatto che per essere persone di fede occorre saper tenere a freno la lingua; conosciamo tutti la forza della tentazione che ci porterebbe alla maldicenza, al pettegolezzo, al giudizio implacabile contro gli altri.

E, al contrario, grazie a Dio conosciamo anche la pace che nasce nel nostro cuore quando riusciamo a stare zitti, a trattenerci dalle parole cattive e svalutanti; stare in silenzio, in questi casi, ci fa sentire la benedizione di Dio, che non giudica nessuno. Scrive Sant’Antonio: «Su coloro che correggono la mala lingua si posano gli occhi della misericordia del Signore, e gli orecchi della sua benevolenza sono aperti alle loro preghiere». Sembra quasi che il Signore possa accogliere solo le preghiere di coloro che non dicono male degli altri! C’è però un altro significato del silenzio.

Esso è importante non soltanto per evitare di dire il male, ma anche per imparare a dire il bene. Pronunciare parole sapienti, in grado di consolare e sostenere; saper dire il bene con profondità; discorrere senza parlare a vanvera: questo è possibile se prima c’è stato silenzio, umiltà nel fermarsi a riflettere, spirito di discernimento per capire cosa è meglio tacere e cosa si può dire. Il Santo, infatti, richiama al silenzio come via necessaria «affinché io non dica il bene in modo errato, e sappia quindi sia tacere che parlare al tempo giusto». L’obiettivo, dunque, non è stare sempre zitti.

Parlare è importante! La capacità di comunicare verbalmente è un grande dono di Dio. Esso va però coltivato con umiltà e prudenza! Deve passare attraverso la via impegnativa del silenzio, che ci educa a parlare non in maniera sfrenata e impulsiva. Spesso capita di sentire: «Io sono sincero, e dunque dico ciò che penso». Questa, però, è una affermazione terribile! Perché se noi, impulsivamente, diciamo ciò che pensiamo, uccidiamo le persone con le nostre parole aggressive. Dovremmo imparare a dire: «Io penso ciò che dico». Non dire ciò che si pensa, ma pensare ciò che si dice.

E in tal modo le nostre parole sapranno dire cose costruttive. Anche quando occorrerà far notare qualcosa di sbagliato, se le nostre parole saranno state meditate nel silenzio, sapremo esprimerci con verità e carità; non per distruggere o vendicarci, ma per aiutare e sostenere.