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Inseguendo l’orizzonte

Elide Siviero

L’orizzonte incerto getta il suo volto nella nebbia. Alle spalle, in retroguardia, uno scialle di luce gli copre un altro orizzonte». Voglio arrivare all’orizzonte. Dicevo così da bambina perché volevo giungere fino al punto ultimo di quello che vedevo. Ma la cosa pazzesca è che non riuscivo mai ad arrivare alla fine dell’orizzonte.

Perché l’orizzonte non è altro che una linea immaginaria, che sta solo negli occhi di chi guarda: è il limite ultimo verso cui si può spingere la vista, segnato con forza dalle vette dei monti o dai dorsi delle colline o sfumato nella pianura o nel mare dalla rotondità della sfera terrestre.

Non è un punto di arrivo, ma è il non arrivo fino a un punto. Cioè, mi dà un punto di vista che non è mai definitivo: appena mi sposto, anche l’orizzonte si sposta con me. Non potrò mai raggiungere l’orizzonte: è sempre il mio oltre. Ogni orizzonte alle sue spalle ha un altro orizzonte.

È questa la sua funzione: non farti arrivare fino a un punto, ma spingerti sempre più in là, perché non puoi mai toccare l’orizzonte. In città l’orizzonte non si vede quasi mai, se non a volte in un ritaglio fra le case: gli edifici alti impediscono lo sguardo lungo che crea la sensazione dell’orizzonte, e per questo possiamo provare un’esperienza di oppressione quando siamo circondati da spazi ristretti che ci impediscano di guardare più in là.

È proprio l’orizzonte a calmare l’anima quando si sta in riva al mare o in cima a un monte, perché ti fa capire che tu puoi essere il tuo baricentro, che puoi andare dove vuoi, che non c’è un limite alla tua ricerca. Ogni volta che penso questa cosa dell’orizzonte, capisco che esso è davvero una metafora di Dio.

Dio non lo puoi afferrare, perché è sempre un passo più in là, è oltre ogni oltre. Ma questo non perché si diverta a giocare con la nostra ricerca, senza mai volersi far afferrare, ma perché è troppo grande per noi. È Dio l’orizzonte che circonda la nostra vita, è Lui che ci mostra il destino a cui tendiamo.

È Lui che ci rivela la grandezza del nostro futuro. Quando san Paolo parla della predestinazione, nella Lettera ai Romani (Rom 8,29-30) a esempio, usa il verbo προορίζω pro-orizo; da orizo, che vuol dire “porre un limite, un termine”, viene proprio la parola orizzonte; la predestinazione quindi non è qualcosa di preordinato su di noi, ma è la modalità con la quale Dio ci mostra l’orizzonte della nostra vita.

Paolo precisa: «Predestinandoci a essere suoi figli adottivi» (Ef 1,5). Ecco l’orizzonte che Dio ci rivela: essere suoi figli. A mano a mano che viviamo, noi scopriamo che questo orizzonte ne nasconde molti altri dietro di sé: l’immensità dell’amore di Dio per noi, il mistero della Redenzione, la gioia dell’appartenenza reciproca con Dio, la consapevolezza di essere nati per incontrare Dio... e così via, in una vertigine di orizzonti che diventano difficili da numerare.

Dobbiamo allenare il nostro cuore a cercare questo orizzonte, a non lasciarsi schiacciare dai caseggiati del peccato e dell’abitudine, che ci impediscono di vedere il nostro orizzonte. E ogni volta che guardiamo il confine fra cielo e terra nei nostri paesaggi, siamo invitati a pensare a Colui che ha voluto mostrarci i suoi orizzonti infiniti.