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Giuseppe, icona di cura e di servizio

suor Marzia Ceschia

Sebbene sia molto conosciuta, la personalità di san Giuseppe ci offre spunti di meditazione sui quali soffermarsi per la loro attualità. In un tempo in cui molto si dibatte sulla questione dei rapporti tra il femminile e il maschile, la maschilità del santo falegname di Nazareth si presenta come alternativa. La narrazione evangelica ci suggerisce la giustizia come uno dei tratti fondamentali di Giuseppe: venuto a conoscenza della sorprendente gravidanza della sua promessa sposa, proprio in quanto giusto «non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto» (Mt 1,19).

L’evangelista Matteo ci offre l’immagine di un uomo non istintivo, che non reagisce d’impulso all’impatto con una notizia che indubbiamente doveva averlo sconvolto: Giuseppe “considera” (cf. Mt 1,20), pensa, valuta, cerca una strada da percorrere. Pare quasi di poter intuire nel racconto l’ansia e la fatica di trovare una soluzione per tutelare se stesso certo, ma anche possiamo pensare che avesse stima di Maria, che davvero le volesse bene, tanto da non volerla esporre al pubblico ludibrio, a una condanna violenta, da volerla per quanto gli era possibile salvare.

Un maschio del suo tempo aveva tutti i diritti di rivendicare l’offesa, di mettere in atto duri procedimenti dinanzi a un presunto tradimento. Giuseppe però non pare concentrato sulla forza della legge, è giusto in un altro modo, è giusto perché misericordioso, perché – lo cogliamo da quanto il Vangelo lascia trapelare della sua vita – profondamente radicato nella fede in un Dio che sorpassa i progetti umani. E in un passaggio che per lui dovette essere di lacerante crisi – era anche la sua immagine di maschio in gioco! – è capace di fidarsi del “mistero”, di credere che l’altra, Maria, è più di quel che lui conosce, più delle sue attese nei suoi confronti.

Maria è una libertà che si è messa in gioco a partire da se stessa, resa autonoma dalla sua fede. Giuseppe non è un uomo che pretende, ma che si mette in cammino accanto alla donna che gli è affidata. E sa credere ai sogni, sa confidare nel messaggio che il Signore gli schiude in una storia concreta, ma che prende una piega al di là delle logiche. Ricevuta nel sogno – proprio nello spazio in cui l’uomo non esercita un controllo – la parola dell’angelo (cf. Mt 1,20-23), al risveglio il falegname di Nazareth non ha titubanze – ma non possiamo escludere che non avesse paure, legittime paure! – fa come gli è stato detto: «prese con sé la sua sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù» (Mt 1,24-25).

Il “prendere con sé” il bambino e la madre è un’attitudine più volte associata a Giuseppe (cf. Mt 2,14; Mt 2,21): è un uomo che accoglie totalmente l’esistenza di una donna e di un figlio che diventano la ragione dei suoi movimenti e per i quali non esita a rischiare. Giuseppe è un maschio che corrisponde con dedizione al vissuto così inspiegabile della sua sposa, sostenuto anche lui come lei da una garanzia superiore, quella della fede in Dio per il quale «nulla è impossibile» (Lc 1,37).

Come avrà ascoltato, con quale cuore, il racconto di Maria, la visita dell’angelo, quello che le era accaduto? Giuseppe è icona di cura e di servizio alla vita dell’altro sulla quale non accampa alcun potere, alcuna rivendicazione. Ne ha ascoltate di parole difficili! Come quando, ritrovato nel tempio tra i dottori, l’adolescente Gesù afferma che un altro Padre deve ascoltare (cf. Lc 2,49). Non abbiamo notizia delle reazioni di Giuseppe, solo un cenno di Maria alla condivisa angoscia nello smarrimento del figlio, ma quel silenzio, quell’essere quasi periferico del padre putativo di Gesù, ci dà modo di riflettere ulteriormente su quel suo essere umile custode della libertà dell’altro di seguire la volontà di Dio.