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Dov’è il tuo fratello? La risposta dell’amore

suor Marzia Ceschia

Tra gli eventi autunnali legati all’anno giubilare vorremmo dare una particolare attenzione al Giubileo dei Migranti che si terrà a Roma il 4-5 ottobre 2025. È un tema questo che non può non richiamarci alla memoria la testimonianza e l’appassionato impegno di papa Francesco, che ha posto la questione delle migrazioni tra quelle centrali del suo Pontificato. Il dramma di uomini, donne e bambini in fuga dalla violenza e dalla povertà merita una considerazione sempre più urgente e propositiva in uno scenario globale, come quello attuale, segnato da instabilità, conflitti, giochi di forza e di potere, sempre pagati a caro prezzo dai più poveri e vulnerabili. I cristiani in particolare sono sollecitati a uno sguardo di fede e di compassione, ma anche a incidere fattivamente nella ricerca di soluzioni concrete e rispettose della dignità di tanti esseri umani, come già nel 2004 notava papa Giovanni Paolo II nell’Istruzione Erga migrantes caritas Christi, considerando il fenomeno migratorio nella prospettiva della storia della salvezza come un segno dei tempi.

Anche papa Benedetto XVI è tornato più volte sul tema con un’attenzione che ci aiuta a cogliere la complessità della condizione del migrante. Papa Ratzinger, infatti, nei vari messaggi per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato ricorda la situazione – e le potenzialità - degli studenti esteri e internazionali «che pure sono una realtà in crescita all’interno del grande fenomeno migratorio. Si tratta di una categoria anche socialmente rilevante in prospettiva del loro rientro, come futuri dirigenti, nei Paesi di origine. Essi costituiscono dei “ponti” culturali ed economici tra questi Paesi e quelli di accoglienza, e tutto ciò va proprio nella direzione di formare “una sola famiglia umana”» (Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del rifugiato del 2011). Questi particolari migranti sono emblematici dell’importanza di un lavoro culturale-formativo che susciti e maturi uno sguardo diverso, inclusivo e capace di riconoscere la fecondità anche politica e sociale dell’incontro con l’altro.

In rapporto a questo tema risalta anche l’aspetto più drammatico che interpella le nostre coscienze. Ricordiamo il primo viaggio di papa Francesco, l’8 luglio 2013, a Lampedusa, dopo che di fronte all’isola si era consumata la tragedia del naufragio che aveva causato la morte di oltre trecento persone, la gran parte in fuga dalla Libia. In quella circostanza il pontefice denunciò la “globalizzazione dell’indifferenza”, l’incapacità di piangere, come esito della cosiddetta cultura dello scarto e di una deresponsabilizzazione abituale nei confronti di chi è marginalizzato, reso invisibile. Risuonano ancora forti le parole che pronunciò nell’omelia durante la celebrazione eucaristica: « “Dov’è il tuo fratello?”, la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà!».

Se guardiamo indietro nel tempo, quando a migrare erano gli europei, cogliamo come luci l’esperienza di santi che si sono spesi per consolare, aiutare, sollevare quelli che, lontani dalla loro patria, vivevano la fatica dell’integrazione e dell’estraneità. Pensiamo, a esempio, a mons. Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905), che diede inizio ai Missionari e alle Missionarie di San Carlo Borromeo per la cura dei migranti italiani all’estero o a suor Francesca Saverio Cabrini (1850-1917), che in America spese la sua vita per soccorrere gli italiani, affrontando ventotto viaggi in mare e pure attraversando le Ande per raggiungere Buenos Aires. Uomini e donne che hanno saputo essi stessi farsi casa, farsi patria, farsi fratelli!