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Contrizione: invito a rialzarsi

fr. Antonio Ramina

Un segno di salute mentale, oltre che spirituale, può essere la capacità di... stare male. Mi spiego. Quando offendo qualcuno, quando non rispetto me stesso, quando non svolgo con senso di responsabilità i compiti che mi sono affidati – e si potrebbe proseguire a lungo con la lista – quando, insomma, compio il male è un buon segno starci male.

Tante volte ci troviamo in questa situazione: commettere qualche malefatta o trascurare i nostri doveri e percepire dentro di noi un senso di disagio, una divisione dolorosa, un certo qual sentimento di esilio da noi stessi. Tutti questi sentimenti sono importanti, perché ci dicono la nostra capacità di vibrare in dissonanza con le nostre azioni non buone. E finché sentiamo queste “stonature” interiori significa che siamo sani, che siamo ancora in grado di domandarci cosa ci capita.

E, se siamo onesti, scopriamo che il nostro star male è quasi un effetto che consegue inevitabilmente al male compiuto. È importante stare male, in tali situazioni; non tanto per rattristarci all’infinito o per deprimerci, ma per riconoscere la nostra fragilità e riparare – se possiamo – al male compiuto, o per riprendere la direzione giusta del nostro cammino.

Pericolosissimo, al contrario, è quando si commette il male e non si prova alcun disagio... Chissà dove andremmo a schiantarci, se ci capitasse questo. Sant’Antonio si sofferma molte volte a descrivere questo salutare sentimento di disagio, chiamandolo ad esempio “rimorso” – a noi sembra parola vecchia e fuori moda – oppure “contrizione” – altra espressione poco usata e quasi del tutto sconosciuta.

Sentiamo cosa dice il Santo: «La vera contrizione, quando il cuore del peccatore si accende con la grazia dello Spirito Santo, brucia per il dolore e illumina per la cognizione di se stesso; e allora le spine, cioè la coscienza piena di rimorsi, e i rovi, tutto viene distrutto, perché all’interno e all’esterno viene riportata la pace». La contrizione è innanzitutto dono dello Spirito Santo. È un prezioso dono di Dio farci stare male quando facciamo il male; è un importante campanello di allarme che ci ridesta!

Tale sentimento brucia e illumina, contemporaneamente. Brucia, cioè infastidisce come “basso continuo”: puoi anche far finta di non sentirlo, ma rimane in sottofondo. Illumina: perché permette alla persona onesta di riconoscere quanto ha commesso di sbagliato e di capirsi meglio, accettando l’idea scomoda di essere, almeno un po’, cattivella. Certo: difficile accettare davvero di essere un po’ cattivi, ma estremamente realistico e salutare!

Il risultato di tale onestà con noi stessi è la pace. Ecco che cos’è un vero senso del proprio peccato: ci permette di accogliere la nostra povertà di peccatori senza appesantirci troppo, ma finalmente aprendoci alla misericordia di Dio, che invade il cuore con la pace dell’amore che perdona sempre! A tal riguardo il nostro Santo ha, della persona, un’idea ottimistica. Scrive infatti: «Sempre viene lasciata all’anima peccatrice una certa scintilla di ragione, che la tormenti con il rimorso e la rimproveri aspramente dei suoi peccati».

Per quanto male facciamo, secondo Sant’Antonio ci viene lasciata una scintilla di ragione; potremmo dire: un barlume di lucidità che ci permette di prendere le distanze da noi stessi e di guardarci dentro, senza essere così superficiali e istintivi da non accorgerci nemmeno di ciò che ci capita di combinare. Non tutte le forme di disagio interiore, dunque, sono un fastidio di cui liberarci in fretta.

Alcune volte costituiscono un’importante voce che risuona nell’anima, che ci invita ad allargare i nostri orizzonti tornando a scegliere ciò che davvero è all’altezza della nostra dignità. Sta a noi metterci in ascolto anche di questi sentimenti spiacevoli; se non ascoltiamo mai ciò che si muove nel nostro cuore, anche quelle voci salutari rischiano di affievolirsi, di diventare deboli al punto tale che, fare il male, ci apparirà cosa normale. Speriamo almeno che ci sia qualcuno accanto a noi che ce lo faccia notare!