Anno 131 - Ottobre 2019Scopri di più
Cavaliere al servizio di Dio
Don Chino Biscontin
Nato nel 1182 in Assisi da un mercante di stoffe pregiate di successo, Pietro di Bernardone, molto spesso assente dalla famiglia per affari, Francesco venne educato dalla made, Pica, da cui apprese il grande valore dei sentimenti e delle relazioni d’affetto. Per questo non attratto dalla carriera di mercante che il padre gli offriva, desiderava piuttosto vivere secondo i valori dell’“amor cortese”, che esigeva devozione assoluta a un signore, rispetto e protezione anche a costo della vita di donne, ragazze e bambini, impegno eroico per la giustizia, fede in Dio senza ombre.
Ma per poter praticare “ufficialmente” l’amor cortese Francesco desiderava, lui popolano sia pure ricco, diventare cavaliere. Arruolatosi con l’esercito assisiate contro quello perugino nella battaglia di Collestrada, con la speranza di venir nominato cavaliere sul campo, ventenne finì per un anno nelle dure prigioni di Perugia. Ne uscì, pagato un alto riscatto, con la salute minata. E dopo gli orrori della battaglia, senza più speranza di poter diventare cavaliere. Caduto in depressione, con comportamenti a volte sconcertanti, non sapeva che fare della sua vita. Ne uscì in seguito a un abbraccio dato a un lebbroso, per amore del Signore: scoprì un modo non “mondano” di essere cavaliere, straordinariamente più appassionante.
La devozione andava rivolta non a un signore di questo mondo, ma al Signore Gesù, da cui imparare come spendere la vita per valori superiori a quelli del cavalierato. La dedizione totale a Gesù è il centro e il senso di tutti i venti anni successivi. Per amore a Gesù prese a leggere i Vangeli con la sola preoccupazione di capire Gesù, per conoscerlo e amarlo sempre meglio, e con la determinazione di mettere in pratica prontamente e alla lettera ogni sua parola. Insegnò questa “forma del santo Vangelo” ai discepoli che sempre più numerosi si mettevano sotto la sua guida: verso la fine della vita saranno circa cinquemila!
Anche Chiara rimase abbagliata dalla somiglianza di Francesco con Gesù e ne seguì l’esempio, compresa una assoluta povertà e la fiducia nel Padre che nutre gli uccelli del cielo. Avendo appreso che Dio aveva creato, attraverso il suo Figlio, ogni cosa amò e rispettò tutte le creature con umiltà e gratitudine, sapendo scorgere in ciascuna di esse un raggio della bellezza e della sapienza di Dio. Il suo amore per l’Eucaristia, e per i sacerdoti che la consacravano, gli evitò dal seguire strade che lo avrebbero portato a rompere i legami con la Chiesa, come invece accadde a suoi contemporanei.
Chiese e ottenne l’approvazione dei propositi di vita suoi e dei primi compagni all’inizio della conversione, e più tardi l’approvazione di una Regola, che scrisse tenendo conto dell’ispirazione che lo aveva condotto a conversione, ma anche del dialogo con i frati nei Capitoli di Pentecoste che li vedevano radunati presso S. Maria degli Angeli, e dell’esperienza via via maturata. Proprio la scrittura della Regola avvenne in un clima di tensioni sia con la curia romana che con una parte considerevole dei frati.
L’esperienza di quei contrasti non lo piegò dal mettere su carta quella che riteneva la missione sua e di coloro che avessero voluto seguirlo, quella di rappresentare al vivo Gesù per difendere la Chiesa tutta dalla mondanizzazione. Ma quei contrasti ebbero la forza di prostrare la sua resistenza psicologica, già indebolita da patologie, sofferenze, fatiche e austerità di vita. Per due anni brancolò domandandosi se per caso non si fosse ingannato e non avesse compreso male la volontà del Signore, cosa questa che lo spaventava a morte.
Due anni dopo la stesura della Regola, durante un severo ritiro di quaranta giorni (la “quaresima di S. Michele”), il suo corpo fu segnato dalle stimmate: il Signore stesso attestava che Francesco, proprio perché sofferente e proprio perché emarginato e contrastato, era giunto ad assomigliare in tutto a Gesù, l’amato Gesù crocifisso. Ritrovò la “perfetta letizia” e lo slancio nella missione affidatagli, fino allo sfinimento. Morì nel 1226; il 4 ottobre ricorre la sua festa.