Anno 132 - Maggio 2020

Testimoni credibili per i fidanzati

mons. Giampaolo Dianin, vescovo

Abbiamo parlato del fidanzamento descrivendolo come un tempo di stupore e di conoscenza, di ricerca e di grazia. L’abbiamo collocato dentro quel percorso che va dall’innamoramento all’amore e apre alla progettualità per un futuro carico di promesse, ma anche consapevole delle sfide che accompagneranno una vita insieme. In questo percorso non possiamo assolutamente lasciare soli questi giovani; la comunità cristiana deve sentirsi discretamente coinvolta e cristianamente responsabile di come stanno vivendo il tempo della ricerca e la preparazione alle nozze.

Papa Francesco si dilunga sull’impegno della comunità cristiana per i fidanzati a partire da questa consapevolezza: «La complessa realtà sociale e le sfide che la comunità cristiana è chiamata ad affrontare richiedono un impegno maggiore di tutta la comunità cristiana per la preparazione dei nubendi al matrimonio» (AL 206). Indica quindi quattro priorità: la testimonianza delle famiglie, il radicamento della preparazione nella vita della comunità, programmi specifici per la preparazione prossima, la partecipazione dei fidanzati alla vita ecclesiale.

Ci soffermiamo sulla prima priorità. La testimonianza delle famiglie potrebbe sembrare uno slogan ormai logoro, ma è la vera priorità. Non sono i discorsi, le riunioni, le raccomandazioni che incidono nella vita e nelle scelte delle persone, ma la credibilità che la vita dà alle parole che diciamo e la bellezza contagiosa di una gustosa esperienza coniugale. La testimonianza degli sposi consegna ai fidanzati la prova che è possibile essere sposi felici nel Signore.

La testimonianza scalda il cuore, mette in moto l’intelligenza, provoca a osare passi importanti e coraggiosi. Non si tratta di suggerire percorsi di imitazione, ma di lasciare che la narrazione sostenuta dalla testimonianza metta in movimento i fidanzati e li apra a quel di più a cui anelano, perché l’amore non si accontenta mai di una vita tiepida e ripetitiva. Nell’educazione in generale, e anche nella formazione dei fidanzati, siamo in gioco noi adulti.

L’educazione non poggia su tecniche psicologiche o pedagogiche o sociologiche, ma è prima di tutto l’offerta della propria vita alla vita dell’altro; è l’offerta di una proposta di vita esistenzialmente significativa e convincente che ha le sue radici nell’esperienza lieta e certa del testimone. L’adulto è uno che ha maturato un’esperienza, che ha fatto delle scelte, che ha una meta e conosce la strada da percorrere perché lui l’ha percorsa.

Gli sposi non devono presentarsi ai fidanzati con la presunzione di chi sa tutto e insegna la strada giusta da seguire, ma come coloro che hanno maturato alcune scelte fondamentali e hanno acquisito alcuni punti sicuri di riferimento passati e verificati alla prova della vita. Viviamo in un mondo complesso e pluralista e i fidanzati, come i giovani in generale, si trovano come in un “centro commerciale” tra mille proposte di vita tutte belle e luccicanti, tutte attraenti e apparentemente facili e a portata di mano.

Servono strumenti per leggere questa realtà, per capirla, per saperla giudicare per quello che è e non in riferimento a quello che piace, che luccica di più, che è più facile e comodo. Compito dell’educatore è trasmettere una tradizione, cioè un’ipotesi sulla realtà. L’adulto dovrebbe essere uno che ha maturato un’ipotesi sulla realtà, che ha una fisionomia significativa, crede in alcuni valori e cerca di realizzarli con coerenza.

Molti giovani fidanzati si sentono circondati da troppe esperienze di matrimoni falliti o scaduti in una routine vuota e stanca. Molti hanno all’interno delle loro stesse famiglie d’origine questa triste realtà. Come chiedere loro scelte impegnative e radicali quando tutto sembra richiamarli alla fragilità dei legami? Scrive il Papa: «I giovani devono poter cogliere l’attrattiva di un’unione piena che eleva e perfeziona la dimensione sociale dell’esistenza, conferisce alla sessualità il suo senso più grande e al tempo stesso promuove il bene dei figli e offre loro il miglior contesto per la loro maturazione ed educazione» (AL 205).

Non possiamo negare che parole come indissolubilità, fedeltà, fecondità, sacramento sono parte di una visione del matrimonio che può apparire utopia, sogno, meta irraggiungibile. Troppo per chi ha solo voglia di amare e sperimentare le cose belle e gratificanti della relazione d’amore. La scelta della convivenza appare quel gradino possibile che ci si può permettere e spesso anche la decisione di sposarsi non è espressione di una consapevolezza e maturità raggiunte, ma solo un inquadrare nella legge un dato di fatto che l’arrivo di un figlio sembra esigere, almeno per non complicarsi la vita.

Spesso noi cerchiamo di consegnare delle ragioni in più per la scelta di sposarsi, un piccolo bagaglio di teorie, ma senza riuscire a mettere in moto la consapevolezza che sposarsi nel Signore non è un semplice completamento, ma una vera novità che irrompe nella vita e nel loro amore come il sale che dà sapore, come il lievito che fa fermentare, come un nuovo modo di amarsi e di guardare alla loro vita insieme. Solo la presenza di testimoni credibili può aprire questo orizzonte nuovo.

Archivio giornaleLeggi tutto