Anno 131 - Gennaio 2019Scopri di più

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Scegliamo la bellezza, non il fango

fr. Luciano Bertazzo

La fama di animale lurido viene utilizzata anche nella predicazione del Santo quale simbolo di coloro che rifiutano la bellezza dell’invito del Signore

Non abbiamo mai trattato fino a oggi di questo animale, forse perché non gode di una fama eccellente, anzi, il suo nome si usa come epiteto offensivo, con esplicite allusioni degradanti. Eppure, è utilissimo: del suo corpo non si butta via niente, usando fino all’ultima setola per farne spazzole. Le sue parti cardiache sono state utilizzate per interventi sul cuore umano prima dell’invenzione di quelle meccaniche. È un animale intelligente e di buona memoria, dotato di un articolato sistema di comunicazione.

Sto parlando del maiale, per chi non l’avesse capito! Lo sto proponendo, tratto dal bestiario antoniano, nel mese di gennaio perché la sua presenza richiama antichi riti ormai perduti nelle modificazioni sociali avvenute, e fino a poco tempo fa all’inizio dell’inverno l’“uccisione” del maiale costituiva una consuetudine importante della vita contadina. Una festa grande a cui partecipava tutta la famiglia patriarcale, dato che la bestia sacrificata costituiva la fonte di calorie e di nutrimento proteico – spesso l’unico! - per tutti i componenti. Un rito che si intrecciava con la festa di sant’Antonio abate (17 gennaio), meglio conosciuto come il santo “del maiale”.

Un’iconografia ambivalente perché alludeva alle perfide tentazioni del Maligno, ma anche all’utilizzo del grasso dei maiali che veniva fatto dai monaci ospitalieri (gli “Antoniani”, appunto: sia chiaro non sono i francescani della basilica del Santo!) fondati a Vienne in Francia nel XII secolo. Costoro infatti erano specializzati nel curare l’herpes zoster (detto “fuoco di sant’Antonio”) proprio con il grasso suino.

Animale prezioso, necessario per vari motivi, è entrato nella vita quotidiana rurale, la quale, pur evolvendosi lasciando cadere riti non più necessari, ha mantenuto tuttavia una serie di termini e di modi di dire derivati proprio dalle sue caratteristiche. Per esempio, il “grugno” (con il quale definiamo oggi una faccia imbronciata) è originariamente il suo muso prolungato in un naso cartilaginoso che necessita di molta umidità, motivo per cui “grugnisce” o “grufola” nel fango umido.

Un animale impuro nella cultura e religione ebraica e mussulmana (forse per i climi caldi che ne impedivano la conservazione della carne). Molto più apprezzato nella cultura cinese dove rappresenta uno dei dodici segni zodiacali, come pure in quella romana che lo considerava intermediario di messaggi divini e il suo grasso un simbolo di fertilità.

Con il medioevo, si cambia! Il maiale è il maiale con tutta l’accezione negativa che il termine viene ad assumere. Per sant’Antonio non poteva che essere così. È il demonio stesso, diventato immondo per la sua superbia, già angelo decaduto «dalla purezza della gloria celeste, e come un porco immondo ha scelto come dimora l’immondezza dei peccati e in essi riposa» (3 domenica di Quaresima, 18).

La fama di animale lurido (il che non è vero!) è accolta da Antonio, dato che «il maiale dorme più volentieri nel fango, che in un bel letto», simbolo di coloro che rifiutano la bellezza dell’invito del Signore per stare nello «sterco delle cose umane» (Cena del Signore, 3). Insiste con ancora maggior forza, quando interpreta il termine Getsemani come il “podere ingrassato” in cui Gesù viene tradito: «Nel podere del Getsemani, cioè in coloro che ardono dalla brama di dominare sugli altri, e non di giovare a essi, e che se ne stanno tranquilli nella valle, vale a dire nei piaceri della carne, ingrassati come porci tra gli escrementi delle cose temporali, viene tradito Cristo» (2 domenica di Pentecoste, 6).

Commentando il famoso brano lucano del figlio prodigo, affamato dopo aver sperperato il suo patrimonio, scrive il Santo: «Il figlio prodigo bramava riempirsi il ventre di carrube, ma nessuno gliene dava (Lc 15,16). Nelle carrube dei porci possiamo individuare i vari piaceri dei peccati, con i quali gli spiriti maligni si ingrassano come porci; piaceri che talvolta non vengono concessi a chi li brama» (5 domenica di Pentecoste, 4). E non poteva mancare il riferimento ai chierici infedeli alla loro missione: «camminano per la loro strada, non sulla strada di Gesù Cristo, ciascuno pensando ai propri interessi. È quella strada buia e scivolosa sulla qual tutti procedono, dal più elevato al più basso, dal porco padrone fino al porcellino più piccolo» (4 domenica di Pentecoste, 13).

Bisogna dire che il povero maiale ha permesso al linguaggio di sant’Antonio di colpire nel segno. Peccato che di fronte a una buona braciola o al profumo del “lardo di Colonnata” tanti pregiudizi crollino, per carità... senza nulla togliere all’immaginario antoniano.