Anno 132 - Maggio 2020Scopri di più

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Occhi all’insù carichi di speranza

Don Chino Biscontin

In questo nostro mondo c’è tanto male, c’è troppo male. E ciò è una prova dura per chi ha fede in un Dio unico e buono. Verrebbe da pensare che questo nostro mondo non ha alcun senso. Un pensatore, Arthur Schopenhauer (1788-1860), è giunto a questa tragica persuasione. Secondo questo filosofo ciò che noi consideriamo nel mondo ordine e armonia è soltanto illusione. L’ordine della società civile e politica non è che il fragile rivestimento di un’accozzaglia di pulsioni ed egoismi che non tardano a manifestarsi con effetti terribili appena venga meno la forza coercitiva che li trattiene.

La storia è una sequela di irrazionalità e di follie. La stessa ragione non è che il mezzo per giustificare, dando loro un’apparenza logica, i ciechi egoismi degli uomini. A fondamento della volontà di vivere c’è un’aspirazione senza scopo che genera un desiderio che non potrà mai avere risposta. L’esistenza dell’uomo è inevitabilmente infelicità. Schopenhauer afferma: «Se a un Dio si deve questo mondo, non ci terrei a essere quel Dio: l’infelicità che vi regna mi strazierebbe il cuore». E tuttavia, anche chi abbraccia questo esito drammatico, non può non constatare la contraddizione nel proprio pensiero.

Se uno è persuaso che nulla abbia un senso, anche il suo discorso sul non senso è privo di senso e, come una serpe che si morde la coda, mentre afferma che nulla ha senso pretende che il suo pensiero sia vero e che le sue parole meritino di essere pronunciate, e perciò almeno esse hanno un senso. Il fatto è che per quanto grande sia il male, c’è dentro di noi una protesta e una speranza che a quel male si oppone. Un altro pensatore, Max Horkheimer (1895-1973), a questo proposito parla d’una nostalgia che ci abita, “nostalgia del totalmente altro”, attesa d’un mondo dove regni la giustizia e il bene.

Se la traiettoria di esistenza di Gesù avesse avuto come esito finale la morte su una croce e una tomba per sempre, di lui non potremmo dire che è il nostro Salvatore, che è vita e speranza nostra, colui che testimonia la vittoria di Dio sul male. La sua risurrezione, la sua glorificazione, la sua Ascensione accanto al Padre, al contrario, affermano che in lui il male in tutte le sue forme e la morte, in quanto distruzione e disgregazione, sono vinti dalla mano di Dio. La glorificazione di Gesù, il crocifisso, ci invita a essere coraggiosi e ad ascoltare con fiducia la voce della protesta e della speranza, la “nostalgia del totalmente altro”, come traccia dentro la nostra anima della promessa di Dio che il male non avrà mai l’ultima parola.

Quella se la riserva Lui, Signore e Creatore. E proprio la glorificazione di Gesù fa apparire in tutta la sua luce il senso, altrimenti terribile, della sua crocifissione. Se rispetto al male del mondo Dio se ne stesse al sicuro, nella sua assoluta trascendenza e felicità, lasciando alle sole creature (responsabili o innocenti) il peso del male, avremmo tutto il diritto di dubitare di Lui, della sua bontà, in fin dei conti della sua stessa esistenza per questo nostro mondo. Ma nelle Scritture, e in maniera definitivamente chiara in Gesù, ci è stato rivelato che Dio stesso è esposto al dolore di questo mondo e se ne fa carico. In Gesù uno della Trinità è stato crocifisso, e il dolore entra dunque nella Trinità, non limitandosi a essere dolore del Figlio, ma diventando dolore del Padre per il Figlio e gemito dello Spirito.

Dio potrebbe fare della sua trascendenza un riparo forte contro ogni implicazione nel male del mondo, ma per libera scelta d’amore si lega a tale solidarietà con questo mondo da percepire come suo il dolore del mondo. Ma ciò non ha la forza di impedire a Dio di continuare ad amare, e all’amore è legata la beatitudine di Dio. All’amore e non – come stabiliva il pensiero greco – all’impassibilità e dunque all’indifferenza. Non è il venerdì santo, ma l’Ascensione del Crocifisso l’ultima parola di Dio.

È questa il fondamento della nostra resistenza al tanto male, che fa della fede, insieme alla speranza, il terreno da cui continua a generare un amore solidale, impegnato, fedele contro ogni forma di male.