Anno 134 - Febbraio 2022

Luce per rivelarti alle genti

suor Marzia Ceschia

La festa della Presentazione del Signore (2 febbraio) è attestata in Gerusalemme già nel IV secolo. Dalla liturgia gerosolomitana le chiese occidentali hanno accolto il rito della processione delle candele che spiega anche la tradizionale denominazione di “Candelora”. La Chiesa ortodossa celebra in questo giorno l’hypapanté del Signore, ossia il “Santo Incontro” di Gesù con il suo popolo nelle persone del «giusto e pio» (Lc 2,25) Simeone e dell’anziana profetessa Anna.

Due tradizioni si fondono in questa memoria: quella della purificazione della madre e quella del riscatto del primogenito, come suggerisce il testo evangelico lucano: «Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore - come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore - e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore» (Lc 2,22-24).

I “giorni della purificazione” rinviano ai quaranta giorni successivi al parto e alla prescrizione di una necessaria purificazione per la puerpera (cf. Lev 12,2 ss): il parto, infatti, comportando perdita di sangue – elemento connesso alla vita e, pertanto, sacro – collocava la donna in uno stato di contaminazione che esigeva una purificazione rituale affinché essa fosse riammessa negli ambiti della quotidianità.

L’altra tradizione allude, invece, al riscatto del primogenito, quale proprietà incondizionata di Dio. Si tratta di due prescrizioni in ottemperanza alla legge di Mosé (cf. Lc 2,22), ma nella narrazione lucana si dà una situazione nuova, poiché Gesù “è la novità”: è condotto al tempio ma Lui stesso è il nuovo Tempio, il nuovo culto, Colui che purifica e illumina facendosi prossimo, incontrando l’uomo, stando in mezzo agli uomini.

Ciò che accade nel racconto lucano – dove non avvengono, infine, né purificazione della madre né sacrificio – sposta la nostra attenzione sui movimenti, sulle parole, sui silenzi degli uomini e delle donne che circondano il Bambino. Ci soffermiamo particolarmente sulla figura di Simeone, il pio ebreo che «aspettava la consolazione d’Israele» (Lc 2,25), la paràclesis e che era guidato dal Paraclito, dallo Spirito.

Quest’uomo ci provoca a domandare a noi stessi come stiamo attorno e accanto a quel Bambino, come ci collochiamo nei confronti di Gesù. Siamo capaci dell’attesa che è propria della fede? Dell’attesa che si nutre di speranza? Ci lasciamo guidare, illuminare dallo Spirito che ci permette di riconoscere la Presenza del Signore, a sentire che mai la nostra attesa di Lui è vana? «...i miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2,30) esclama Simeone: le sue parole accompagnano la preghiera di Compieta della Chiesa.

Nella notte ripetiamo che “abbiamo visto”, che abbiamo fatto esperienza dell’azione del Signore che salva: dove? Quando? Appartengono anche questa gratitudine e questa gioia ai nostri esami di coscienza? Quel Bambino è «luce per rivelarti alle genti» (Lc 2,32): è la possibilità per tutti di vedere il Padre e come agisce il Padre, la possibilità per tutti di essere illuminati sulla propria inalienabile identità e dignità, quella di figli di Dio.

Maria e Giuseppe si stupiscono: loro così addentro e partecipi del mistero del Dio fatto carne sono riempiti della meraviglia che è all’inizio di ogni conoscenza, di ogni esperienza e di ogni ricerca del Signore! Lo stupore è luce che squarcia la fissità delle nostre logiche e ci spinge oltre e rende la nostra interiorità più spaziosa, dilatata nella misura in cui ci lasciamo meravigliare da quanto è, davvero, più grande di ogni nostra presunta grandezza!

Quando ci siamo stupiti del Signore? Quando abbiamo colto che Egli è «segno di contraddizione» (Lc 2,34) che rivela gli inganni del nostro orgoglio, dei nostri egocentrismi? Quando ci siamo sentiti provocati a prendere posizione rispetto a Lui, attraversati, feriti, sollecitati dalla sua Parola che è spada che trafigge l’anima e porta alla luce quello che veramente c’è nei cuori?

Questa festa, tutta nel segno della luce, ci sollecita a uscire dalle nostre oscurità, dal non vedere in noi stessi e dal non vedere fuori di noi, dal non saper attendere e benedire. Allo stesso tempo siamo provocati a recuperare l’occhio vigile, attento della fede che sa scrutare ogni traccia di Colui che viene incontro.

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