Anno 133 - Ottobre 2021

Il senso di un addio

Elide Siviero

La grande poetessa Marina Cvetaeva (1892-1941) aveva intessuto un carteggio poetico con Rainer Maria Rilke (1875-1926) senza averlo mai incontrato di persona. Quando finalmente era nata l’occasione per vedersi, il grande poeta, gravemente ammalato da tempo, morì proprio poco prima del loro appuntamento.

Lei allora gli dedicò una lettera in cui, tra le altre cose, scrisse: «Non mi prenoterai una camera, una stanza, una casa, ma un intero paesaggio celeste... Mi hai preceduto, così è stato più bello... ». Mi hanno molto commosso queste parole che sentii per radio tempo fa: molti di noi hanno perso delle persone care durante la pandemia senza poterle vedere, salutare, incontrare. Dire addio in questo modo è ancora più doloroso.

Le parole della Cvetaeva diventano lenitive: si parla di qualcuno che, morendo, semplicemente ci precede e ci prepara un paesaggio celeste. La nostra fede ci sostiene in questa certezza, perché il Cristo stesso ci assicura «vado a preparavi un posto» (Gv 14,2b). Ora tutta questa terminologia, molto attiva, sgombra il campo da idee devianti sul riposo eterno.

Santa Teresa del Bambino Gesù garantiva: «Passerò il mio Paradiso a fare del bene sulla terra». Il riposo del cielo non è quindi un noioso far nulla in attesa che il tempo passi: esso richiama prima di tutto il riposo di Dio dopo la creazione, quindi il godimento nella contemplazione di ciò che aveva realizzato.

Per questo il popolo ebraico doveva rispettare il riposo del sabato: questo giorno di riposo dal lavoro non era stato creato per far recuperare le energie perdute, ma per gioire della vita. Ultimo nella creazione, è il primo giorno nella intenzione, perché per gli Ebrei il Sabato è il fine della creazione del cielo e della terra.

Così il Sabato non è al servizio dei giorni feriali; sono i giorni feriali che esistono in funzione del Sabato. «Esso non è un interludio, è il culmine del vivere» diceva il rabbino Abraham Heschel. Esso ricordava anche l’uscita dalla terra di schiavitù, perché il riposo del Sabato evocava la libertà, la salvezza e la gioia della terra promessa.

Tutto quello che il Sabato simboleggiava è diventato reale nel Mistero pasquale di Cristo, morto e risorto. Il riposo del Sabato ebraico diventa la gloria della terra promessa, raggiunta in Cristo Signore. Quando preghiamo con l’eterno riposo, non stiamo chiedendo che finalmente i morti dormano in pace, ma che giungano nella terra promessa, nel compimento del loro essere, nella Pasqua eterna in cui il Sabato ci viene incontro con la sua realtà salvifica.

Anche se noi non lo vediamo, essi potranno essere ancora più attivi, perché immersi dentro il vortice della Vita stessa di Dio. Nel suo meraviglioso libro Escatologia Joseph Ratzinger scrive: «Il Regno di Dio è la vita e a questa vita spetta anche il corpo in sua legittima eredità... Di conseguenza non è ciò che è mortale che eredita, ma per il paradosso della potente Misericordia di Dio, avviene l’inverso: la vita si prende per sua eredità ciò che è mortale... Cioè Dio, la vita eterna, vuole come sua eredità ciò che è mortale» (pag. 174).

Ecco l’annuncio potente della nostra fede: Dio non può stare nel suo riposo eterno e pieno di vita senza averci in braccio a Lui, nel suo riposo. Pensare questo, mentre diciamo addio ai nostri morti, vuol dire trasformare quel saluto in un “A-Dio”, pieno di speranza e di pace.

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