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Il Quartetto d’archi

Elide Siviero

Ho sempre avuto una passione sfrenata per il quartetto d’archi. Certo, mi piacciono le sinfonie, ma la musica da camera mi incanta di più. Apprezzo molto i duetti fra strumenti, ma trovo che il quartetto d’archi sia un’opera perfetta. Nel lontano 1996 mi sono anche cimentata a scrivere dei temi per quartetto d’archi ed è stata un’esperienza a dir poco inebriante. Ora non so nemmeno come ho fatto, e oggi non sarei in grado di comporre una cosa del genere: non mi ricordo le regole da applicare, le estensioni dei vari strumenti, non mi ricordo più come si scrive in chiave di Do: insomma, ero solo un’autodidatta che si è cimentata in qualcosa di speciale.

Ma mi ricordo cosa pensavo e come funziona un quartetto d’archi. Questo complesso armonico, formato da due violini, una viola e un violoncello, ha questa caratteristica precipua: ogni strumento è un solista in dialogo con gli altri, perché vi è parità di importanza fra le quattro voci. Diversamente dalle sinfonie, in cui le parti gravi, affidate a viole, violoncelli, contrabbassi, bassotuba, ecc. creano la base su cui si dispiega la melodia, nel quartetto la melodia rimbalza fra i quattro strumenti e ognuno ha una sua storia, un suo discorso che colloquia con gli altri. Il quartetto permette una grande omogeneità di timbro. Mentre scrivevo, ricordo benissimo che sentivo dentro di me il violino raccontare delle cose e la viola rispondergli in merito, mentre il violoncello “diceva la sua” con la profondità che lo caratterizza.

In tutto questo dialogo la cosa importante è che ogni strumento sia capace di ascoltare l’altro, di entrare in armonia con il suono altrui, di stare nella stessa tonalità o di modulare in maniera corretta. Non basta che ogni strumento sappia suonare bene le sue note, che sia intonato e perfetto: deve andare a tempo con gli altri, rispettare le dinamiche di ciascuno, altrimenti ciò che ne risulta non è un quartetto per archi, ma un disastro d’archi. Gli esecutori sono tanto più bravi quanto più l’amalgama del suono è perfetto: un quartetto d’archi deve diventare un tutt’uno, pur essendo formato da quattro solisti.

Per capire, basta cercare in Internet qualche esecuzione del Quartetto Italiano: sono stupende! Quando ascolto un quartetto per archi penso che esso sia un esempio calzante per descrivere la vita nella Chiesa, così come ne parla Paolo nella Prima lettera ai Corinzi (cfr 1Cor 12-13). Egli elenca i vari carismi nella Chiesa, che servono per il bene comune: ognuno ha il suo suono, il suo dono, ma deve suonarlo con gli altri, accordandosi con gli altri per creare una vera armonia. Non basta saper fare bene le cose, bisogna farle con gli altri e per gli altri.

Ma soprattutto la caratteristica assoluta della Chiesa è che ognuno suona sostenuto dalla Carità, dall’amore di Dio che lo alimenta, lo unisce agli altri, lo rende capace di ascolto e di obbedienza. È lo Spirito Santo che crea quell’amalgama fra noi, che rende prezioso il nostro operare nella Chiesa. Non è importante cosa fai, “cosa suoni”, ma che tutto sia vissuto dentro la comunione dell’amore. Solo così nessuno sarà geloso del suono altrui, invidioso delle altrui capacità: la cosa essenziale è la musica che tutti insieme produciamo per la gloria di Dio, proprio come un meraviglioso quartetto per archi.