Anno 131 - Aprile 2019

Il marito collerico

Alfredo Pescante

Smettila di brandire in aria quel pugnale che già ha trafitto al petto l’irreprensibile tua consorte! Lascia cader a terra la micidiale arma che nulla è capace di risolvere e procurerà a te solo grande rimorso nella vita!». Così paiono ancor gridare dalla scena del secondo bassorilievo, nella cappella dell’Arca, i tre personaggi vicini al cavaliere toscano, facile all’ira anche dinanzi a un’ingenua risposta della paziente moglie. Due nerboruti lo frenano dal ripiazzare il colpo, avvinghiandolo e bloccandone la destra che serra l’acuminato pugnale, mentre una donna, forse la domestica, sconvolta fissa in volto il femminicida. I personaggi sulla sinistra, non il paffuto ragazzino, anticipano con un sospiro il miracolo poi avvenuto.

L’altorilievo non gode di gran stima specie a confronto con il dipinto tizianesco (1511) della Scoletta, ma ringraziamo il pisano Silvio Cosini (Giovanni Rubino primo incaricato nel 1524 preparò solo la lastra) che nel 1542 ci regalò una scena altamente drammatica che invita al grande rispetto verso le donne. Quante ne ha difese sant’Antonio dai mariti collerici, riportando nelle case l’armonia familiare!

Il “Liber miraculorum” parla di una donna alla quale è strappata la capigliatura e viene sanata. Qui i massari dell’Arca, ammirandone il bozzetto, titolano l’opera “il quadro dell’uomo geloso che uccide la moglie”. «Questa donna fu liberata da morte» dice lo storico Sicco Polentone (1375-1446 ca.), primo a descrivere il prodigio. Sant’Antonio accorre, invocato dal cavaliere, «lenisce con la mano le ferite della donna e vi traccia sopra un segno di croce», consegnandola guarita al pentito consorte.

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