Anno 132 - Marzo 2020Scopri di più

Aderisci all'Associazione

Il grano e la zizzania

Don Carlo Broccardo

Il 2019 e un po’ anche il 2020 l’abbiamo passato leggendo alcune delle parabole presenti nel vangelo secondo Luca; abbiamo incontrato prima il buon samaritano, poi l’amico importuno, il ricco stolto, il padre misericordioso, l’amministratore scaltro e tanti altri personaggi tra i più affascinanti dei racconti evangelici. Bisogna proprio dire che Luca nelle parabole ha dimostrato la sua grande capacità narrativa. Nel vangelo secondo Luca ci sono anche altre parabole che noi non abbiamo preso in considerazione; ci siamo soffermati su quelle che sono presenti esclusivamente in questo vangelo, tralasciando quelle che ci sono anche in Marco e Matteo.

Passando ora a Matteo (cerchiamo di seguire il più possibile l’anno liturgico), viene subito in mente il capitolo 13 in cui l’evangelista raccoglie ben sette parabole di Gesù. La prima è quella famosa del seminatore che uscì a seminare: la leggeremo più avanti, nella versione di Marco. La seconda invece la leggiamo ora: è quella non meno famosa della zizzania. È entrata anche nel modo di parlare, quando si dice per esempio “spargere/mettere zizzania”, che significa «mettere discordia, provocare volutamente e per malignità dissensi e dissapori, liti e contrasti» (Dizionario Treccani online). “Zizzania”. Siamo così abituati a usare questa parola in modo figurato, che quasi quasi rischiamo di dimenticarci che si tratta di una pianta, una graminacea (nome scientifico Lolium temulentum), molto diffusa in natura.

È un’erba infestante, conosciuta fin dall’antichità e presente anche oggi in tutte le regioni italiane come in gran parte del pianeta; magari senza saperlo, ma l’abbiamo sicuramente vista anche noi. Il fatto che qualcuno si prenda la briga di raccogliere sementi di un’erba infestante per danneggiare il raccolto di un vicino può sembrarci strano; nel mondo antico invece non era così raro, tanto che il diritto romano prevedeva un tale caso. Tuttavia è utile notare come nella nostra parabola questo dettaglio non sia detto di sfuggita, ma ben evidenziato. Viene detto all’inizio del racconto dal narratore e viene poi ripetuto dal padrone, nella prima parte del dialogo con i suoi servi: «Un nemico ha fatto questo». Nessun errore da parte dei servi (il seme era di buona qualità); nessuna sfortuna; si tratta dell’azione malvagia di qualcuno che vuole rovinare il nostro raccolto.

Gli esperti di botanica ci spiegano che zizzania e grano sono molto simili nella prima fase della crescita, per cui ci si accorge tardi che il campo è infestato, quando ormai le radici delle piante cattive e quelle delle buone sono intrecciate: sradicare le une significa compromettere le altre. Per cui, dice il padrone, conviene aspettare; ci penseranno i mietitori a dividere il grano buono dalle erbe infestanti. Questa parabola ci incoraggia a essere realisti: se Dio lavora per diffondere il Regno dei cieli, certo il maligno non dorme. «Il Regno di Dio», scriveva il card. Martini, «è realtà contrastata, conculcata, ambivalente nei risultati e chi aspetta uno sviluppo regolare, omogeneo, rettilineo, trionfale, si sbaglia.

Questa era la grande attesa, ed è ancora la nostra: perché il Regno non trionfa? Semplicemente perché la Parola, la predicazione, la missione, la vita secondo il discorso della montagna, non è necessariamente efficace. Dio non distrugge il male». La parabola di Gesù mi spinge a essere consapevole che nel mondo, nella chiesa, in me ci sono sia grano che zizzania; per questo è importante ogni goccia di bene, ogni parola buona, ogni pensiero puro.