Anno 131 - Giugno 2019Scopri di più

Aderisci all'Associazione

Effervescenze popolari dello Spirito

Don Livio Tonello, direttore

Non ci si stanca di stupirsi di fronte alla grande devozione per sant’ Antonio. Una venerazione che non conosce crisi. Visibile nella grande festa del 13 giugno come nella quotidianità dei pellegrinaggi o nelle immagini presenti in ogni chiesa del mondo. La chiamiamo devozione popolare, ma non ha nulla di minimale. Nelle espressioni di sentimenti di affetto riconosciamo una forma nobile della fede. È quella che papa Francesco nella esortazione Evangelii gaudium del 2013 definisce «autentica espressione dell’azione missionaria spontanea del Popolo di Dio ... realtà in permanente sviluppo, dove lo Spirito Santo è il protagonista (n. 122). Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere (n. 123) ... e si può cogliere la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura e continua a trasmettersi. Le espressioni della pietà popolare hanno molto da insegnarci e, per chi è in grado di leggerle, sono un luogo teologico (n. 126)».

Affermazioni inequivocabili che possiamo attribuire anche al profondo attaccamento per il Santo di Padova. A volte c’è una richiesta (la grazia, il miracolo), in altre la riconoscenza (ex voto), c’è simpatia e affetto, c’è l’imitazione di un modello di vita cristiana... La fede trova sorgente e vitalità nella devozione antoniana rivelando l’alito dello Spirito che gonfia di afflato i polmoni dei credenti. È una manifestazione di fede, in forma popolare, semplice ma alta, espressione di convinzioni spirituali radicate e convinte. Che lasciano sempre stupiti! Nell’epoca della tecnica e della scienza può esserci ancora chi si affida a una persona vissuta 800 anni fa? Sono ragionevoli gesti e suppliche protesi verso una immagine, una statua, una effige? La ragionevolezza sta nella constatazione che sentimenti ed emozioni abitano la persona umana e trascendono ogni spiegazione scientifica. Le sono tuttavia connaturali, manifestazione di ciò che le parole non sanno spiegare.

Fanno parte oramai di un sentire collettivo che non si sbaglia nel credere. Vissute insieme costruiscono un popolo nella forma più alta delle intenzioni di Dio. «Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana...» (Gaudete et exsultate n. 6). Non ci meravigliamo, allora, di queste “effervescenze spirituali” collettive e variegate. La nostra capacità di affetto ci rende umani e ci libera dalla presunzione di possedere ogni risposta e dominare ogni evento della terra pur se guardiamo il cielo. «Le stelle raffigurano i santi, che Cristo mette sotto il sigillo della sua provvidenza, affinché non compaiano in pubblico quando vogliono, ma siano sempre pronti per il tempo stabilito da Dio e quando udranno con l’orecchio del cuore la voce di colui che comanda, escano dal segreto della contemplazione per compiere ciò che è necessario» (sant’ Antonio, Sermone della V domenica dopo Pasqua).