Anno 132 - Maggio 2020

Ciò che occorre è un uomo

Roberto Filippetti

Quest’anno la Pentecoste cade il 31 maggio, nel giorno in cui abitualmente il mese mariano culmina con la festa della Visitazione della Beata Vergine Maria alla cugina Elisabetta. Come l’adolescente Maria che aveva appena concepito Gesù per opera dello Spirito Santo partì “in fretta” e fece a piedi più di cento chilometri per andare a fare compagnia alla parente, così dal grembo del cenacolo i Dodici si affrettarono ad irradiarsi nella missione urbi et orbi (alla città di Roma e al mondo intero), in forza di quell’impeto che il fuoco dello Spirito aveva posto nei loro cuori.

Come ci “pro-voca” lo Spirito Santo in questi nostri anni di scristianizzazione e in questi ultimi mesi vissuti da tanti nella paura? Czeslaw Milosz (1911-2004) – che ebbe il Nobel per la Letteratura giusto quarant’anni fa – risponde con questa lirica, in forma di riscrittura del Veni Sancte Spiritus:

Vieni, Spirito santo,
piegando (oppure no) l’erba,
mostrandoti (oppure no)
con una lingua di fiamma sul capo,
al tempo delle fienagioni,
o quando il trattore
esce per la prima aratura
nella valle dei boschetti di noci,
o quando la neve
seppellisce gli abeti storpi
nella Sierra Nevada.
Sono un uomo,
ho quindi bisogno di segni visibili,
il costruire scale di astrazioni
mi stanca presto.
Ho chiesto più volte, lo sai,
che la figura in chiesa
levasse per me la mano,
una volta, un’unica volta.
Capisco però che i segni
possono essere soltanto umani.
Desta dunque un uomo,
in un posto qualsiasi della terra
(non me, perché ho comunque
il senso della decenza)
e permetti che guardandolo
io possa ammirare Te.

Il poeta mendica un segno impressionante, un miracolo clamoroso che lo confermi nella debole fede. Ma se anche questo un giorno accadesse, se la statua in chiesa un giorno alzasse la mano a benedire lui, il prodigio davvero gli basterebbe? O non uscirebbe di chiesa col dubbio di avere avuto un’allucinazione? No, non ci serve questo. Il segno visibile su cui piantare rocciosamente la fede può essere soltanto umano: l’incontro con una persona che oggi – in questo nostro inquieto 2020 – viva tutto in modo così affascinante da incuriosirci.

E quando la conosciamo a fondo, capiamo che la radice ultima dell’intelligente letizia che ci testimonia proviene dalla fede viva che ha nel cuore. Dopo la Pentecoste il “metodo” (cioè la strada per andare avanti) che lo Spirito di Dio ha scelto, è quello della compagnia cristiana: uomini fragili, poveri peccatori, che portano una bellezza dell’altro mondo in questo mondo. Ecco: come continua a ripetere papa Francesco citando Benedetto XVI, «la Chiesa cresce non per proselitismo, ma per attrazione. La fede si trasmette, ma per attrazione, cioè per testimonianza». Il cuore dell’uomo mendica d’imbattersi in un volto, in uno sguardo umano “vero”, come dice Andrej Tarkovskij (1932-1986) – il più grande regista russo di sempre – nel film Andrei Rublëv, del 1966: «Tu lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco e non ce la fai più.

E d’un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno – uno sguardo umano –, ed è come se ti fossi accostato a un divino nascosto. E tutto diventa improvvisamente più semplice». Questo film, censurato dalle autorità sovietiche, fu proiettato al Festival di Cannes nel 1969, ma alle 4 del mattino dell’ultimo giorno per evitare che vincesse qualche premio... Sulla stessa lunghezza d’onda è uno dei più grandi poeti italiani del secondo Novecento, Carlo Betocchi (1899-1986), in questa sua lirica tratta da Tutte le poesie:

Ciò che occorre è un uomo,
non occorre la saggezza,
ciò che occorre è un uomo
in ispirito e verità;
non un paese, non le cose,
ciò che occorre è un uomo,
un passo sicuro, e tanto salda
la mano che porge che tutti
possano afferrarla, e camminare
liberi, e salvarsi.

Ecco: la Pentecoste segna l’irruzione nella storia di un’umanità che porta il divino a portata di mano.

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