Anno 132 - Marzo 2020Scopri di più

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Camminando in silenzio sotto la pioggia

Germano Bertin

Ha un profumo particolare, riconoscibile, la pioggia che cade. Assomiglia a un gesto: la mano che con delicatezza e affetto sveglia chi si è assopito. Un fremito, un sussulto: e si diffonde, intorno, fuori, ciò che sta dentro. Cosí è la pioggia. Appena inizia a cadere, soprattutto. Tu potresti essere al riparo, avere gli occhi chiusi, gli orecchi protetti dalle mani: ma subito la sapresti riconoscere dal profumo, inconfondibile, che si risveglia dalle cose.

Camminando nella pioggia, i vestiti, prima, la pelle, poi, diventano la linea di confine tra il fuori, immenso e diverso, e il dentro che contiene, oltre all’immenso e al diverso, molto, molto di piú: l’universo del sé, sommerso, irraggiungibile. E allo stesso modo, dentro, ogni cosa riprende il proprio profumo, riconoscimento distintivo di unicità: e lo diffonde intorno, senza limite e distinzione, con generosità. Come memoria che tutto torna a far vivere: ogni istante seppure passato, ogni volto seppure lontano, ogni dettaglio seppure limitato si fa presente, vicino, vivo, come fosse accaduto pochi istanti prima. Presente. Riconoscibile. Indelebile.

E torna la stessa emozione della prima volta: torna a rivivere, nuova, inedita, unica. E il silenzio che prima spaventava o quanto meno non aiutava, sotto la pioggia, nel profumo della pioggia, diventa finalmente parola, sguardo, mano che si fa incontro, memoria che segna come diamante il presente: e si fa cammino. Non importa verso dove: certamente sarà oltre, piú avanti, piú in là. E sarà inedito. Anzi, proprio questo oggi.

Come accade quando il corpo è bagnato, non vi sarà piú distinzione tra il dentro e il fuori: quella che era una linea di confine, di separazione, di distinzione diventa finalmente linea d’incontro. Profumo intero, che avvolge e assapora ogni cosa, ogni incontro, ogni evento. Finalmente, allora, tutto si farà vicino, invisibilmente presente. Anche se gli occhi continueranno a non vedere, e i suoni a non farsi riconoscere, rimarrà comunque un profumo da ascoltare e da vedere. Nel silenzio, camminando nella pioggia, ciascuno, io, mi sorprenderò ad andare in giro per strade sconosciute e familiari, presenti e remote, nuove e già calpestate, mentre «... senza parlare – canta Diodato nella sua “Fai rumore” – senza un posto a cui arrivare, consumo le mie scarpe. E forse le mie scarpe sanno bene dove andare ...».

E se anche intorno cresce un silenzio che diventa innaturale o persino non sopportabile, perché portato da un dolore generato da una trasformazione che fatica a diventare realtà, anche tu ti sorprenderai a dire a te stesso: «non ne voglio fare a meno, ormai, di quel rumore». Perché il rumore del silenzio è proprio il profumo che cresce e si diffonde in ogni dove. Riconoscibile anche a occhi chiusi. E sarà piú facile, anzi possibile, ascoltarsi, oltrepassare quella linea di confine che se da una parte protegge, dall’altra tiene separati. E tu? Tu «stai a sentire – come scrive Erri De Luca – perché è questa la prima qualità di chi deve parlare», di chi vuole lasciare tracce di sé che superino il tempo: ascoltarsi, lasciando che ogni cosa, ogni volto, ogni storia, ogni oggi racconti di sé e del profumo che porta e consegna a chi abbia occhi per riconoscere, orecchi per distinguere e narici per gustare.