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Sollevare lo sguardo

Elide Siviero

Mio papà è un uomo alto. Ancora adesso che è anziano, claudicante e un po’ storto nella sua andatura, rimane un uomo alto, solenne. Da bambina andavo così fiera di questo padre! Nessuno aveva un papà alto come il mio: lui sapeva proteggermi, perché sovrastava tutti con la sua statura notevole. Ma questa sua peculiarità, oltre a presentarlo oltremodo affascinante ai miei occhi, lo rendeva anche particolarmente visibile. Era stata la mia mamma a rivelarmi questo segreto: «Io non perdo mai di vista tuo padre! È il più alto di tutti. Così se lo voglio trovare basta che io guardi in alto».

Ed era questa la strategia che mi aveva insegnato quando facevamo qualche gita a Padova e l’idea di perdere di vista i miei genitori mi creava una piccola angoscia: quando temevo di averli persi, dovevo sollevare lo sguardo e avrei visto, di lontano, subito, il mio grande papà. La sua altezza era la mia sicurezza, la mia certezza, sgominava tutte le paure; ma soprattutto ho imparato, grazie a lui, che nei momenti di difficoltà la prima cosa da fare è sollevare lo sguardo. L’invito ad alzare gli occhi al cielo è presente nella Sacra Scrittura come un leitmotiv.

Quando Abramo è ormai vecchio e deluso, perché è ricco, ma non ha figli, e quindi l’unica possibilità che intravede è di adottare Eliezer di Damasco, il fattore di casa, perché diventi l’erede del suo patrimonio: «Il Signore lo condusse fuori e gli disse: Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle, e soggiunse: Tale sarà la tua discendenza» (Gen 15, 5). E questo “guarda in cielo”, è un invito ad Abramo a non stare con il capo chino a contare e a calcolare i suoi beni, e i suoi fallimenti, con il figlio che non ha avuto, ma sappia aprire il cuore a qualche cosa di più, che sappia “guardare in alto, verso il cielo, verso le stelle”, che lui non può calcolare né contare e vanno al di là di ogni sua possibilità di manipolazione. Insomma, che si apra all’azione che il Signore sta per fare. Guardare in alto verso Colui che è grande e alto e potente.

Così ancora nel capitolo 40 di Isaia, il profeta deve confrontarsi con il popolo di Israele del tempo dell’esilio in Babilonia, demoralizzato, avvilito, perché dice: «La mia sorte è nascosta al Signore e il mio diritto è trascurato dal mio Dio» (Is 40, 27). A questo popolo avvilito il profeta fa un’esortazione, dice: «Levate in alto i vostri occhi e guardate: chi ha creato quegli astri?... Perché dici, Giacobbe, e tu, Israele, ripeti: La mia sorte è nascosta al Signore e il mio diritto è trascurato dal mio Dio? Non lo sai forse? Non lo hai udito? Dio eterno è il Signore, creatore di tutta la terra. Egli non si affatica né si stanca, la sua intelligenza è inscrutabile.

Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40, 26-31). Chi solleva gli occhi, alza lo sguardo oltre le strettoie del proprio limite, incontra il cielo e scopre una nuova forza: quella stessa di Dio in noi. Ecco perché il lamento di Osea è proprio sullo sguardo curvo di Israele: «Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo» (Os 11,7).

Anche noi siamo chiamati a guardare oltre il nostro piccolo problema e sollevare lo sguardo per incontrare in tutti i nostri giorni la provvidenza eterna del Signore.