Anno 134 - Ottobre 2022

Siamo gli ultimi cristiani?

Don Livio Tonello, direttore

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A nessuno sfugge la progressiva lontananza dalla pratica religiosa. I banchi delle chiese si svuotano e sono occupati da persone dai capelli sempre più bianchi; i genitori non riescono a trasmettere la fede ai figli; i giovani disertano la vita parrocchiale... e potremmo continuare con queste evidenze che sono sotto gli occhi di tutti. Il fenomeno è percepito in maniera chiara in tutte le nazioni europee, inclusa l’Italia.

La pandemia ha solo accelerato un processo in atto da tempo e che sembra inarrestabile. È lecito chiedersi se il cristianesimo avrà ancora un futuro, almeno in Europa. Ce lo chiediamo mentre celebriamo il mese missionario che tradizionalmente è dedicato alla preghiera e al sostegno dei missionari. Un impegno di evangelizzazione tradizionalmente pensato e rivolto ai popoli del sud del mondo e dell’oriente.

Ma la presenza della “buona notizia” sta venendo meno alle nostre latitudini. Anzi, c’è una specie di evangelizzazione di ritorno con gli arrivi dei migranti Africani, molti dei quali sono cristiani. Nel 2019 c’è stato un evento catastrofico dal valore altamente simbolico: il 19 aprile la cattedrale di Notre-Dame di Parigi è stata distrutta da un incendio. Nella guglia che collassava molti hanno scorto l’immagine di una Chiesa europea che sta implodendo.

Non è solo il calo dei partecipanti a preoccupare, ma anche la diminuzione delle ordinazioni, delle consacrazioni religiose, dei matrimoni, la soppressione delle parrocchie... Una crisi di fede condivisa con i credenti delle altre confessioni. Allora acquista maggior forza l’interrogativo se siamo noi gli ultimi cristiani del continente. Sicuramente siamo gli ultimi testimoni di un certo modo di essere cristiani.

Coinvolte nelle grandi mutazioni della società, le Chiese nazionali sono destinate a mutare il loro volto. Già ora assistiamo a una rarefazione delle relazioni tra i preti e i fedeli, soprattutto nelle parrocchie senza parroco residente. Non serve essere profeti per rendersi conto che la rilevanza culturale del Vangelo sarà sempre minore. L’impegno di evangelizzazione, di essere chiesa missionaria – in linea con la nota espressione di papa Francesco – è compito delle nostre comunità qui e ora.

Sono gli stessi battezzati a dover essere rievangelizzati. Sarà importante che le comunità, per quanto piccole, non abbandonino la testimonianza esplicita resa a Cristo e alla sua Parola. Il cristianesimo potrà ancora penetrare il nostro mondo solo se i credenti avranno la forza di arrabbiarsi, di indignarsi, di non confondere la bontà con la tolleranza universale. In un mondo sempre più laicista, almeno in Occidente, le Chiese saranno indotte dalla forza delle cose a raccogliersi attorno all’essenziale.

Nelle nostre riunioni ci incentreremo maggiormente sulla Parola di Dio e sull’Eucaristia, le due sorgenti della differenza cristiana, per avere la lucidità e l’energia di una presenza sociale incisiva. Sarà un nuovo inizio rispetto a quanto stiamo vivendo in questa epoca di transizione, un qualcosa di nuovo che abbiamo il compito di preparare e anche di rendere possibile.

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