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Ma quale salvezza?

Fratel MichaelDavide Semeraro

A Natale, ma non solo, ritorna spesso l’invocazione a Gesù come “salvatore”, e così è stato lungamente invocato e atteso prima della sua venuta. Ma come intendere tale appellativo? Da un punto di vista politico Gesù non ha portato alcuna liberazione dai dominatori (penso alla permanenza dell’Impero romano), neppure è stato portatore di giustizia, né tanto meno ha salvato dalla sofferenza (tranne pochi episodi racchiusi nel Vangelo) poiché si continua a soffrire e a morire... È da intendersi dunque unicamente come salvezza escatologica?

D.G. (Treviso)

Quando l’angelo annuncia a Giuseppe la nascita di un figlio dalla sua promessa sposa gli dice di chiamarlo “Gesù”. Questo nome significa “Dio salva”. Il Signore è Gesù, è il Salvatore perché è colui che ci libera dalla paura, dalla vergogna, dal sospetto su Dio e dalla sfiducia nei nostri fratelli e sorelle in umanità.

Al tempo di Gesù molti aspettavano un Salvatore – così veniva chiamato l’imperatore – e tutti si auguravano una salvezza per essere affrancati dalla propria sofferenza e umiliazione. Il Signore Gesù ci ha indicato, con le sue parole e i suoi gesti, un cammino di salvezza che passa attraverso la capacità di assumere la sofferenza e di condividere la sofferenza degli altri con amore e compassione. È questa la salvezza che il Signore Gesù ci dona e ci chiede di donare agli altri.

Se Gesù è il Salvatore è perché è stato salvato da Giuseppe, come Mosé fu salvato dalla figlia del Faraone. Solo chi si sente salvato dalla compassione e dall’amore può diventare un segno di salvezza nella compassione e nell’amore. Allora, anche se tutto sembra uguale, in realtà tutto è diverso e persino la sofferenza, quando è condivisa, diventa più leggera da portare e meno disperata da vivere.