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L’invito di Sofia e Zoe

Elide Siviero

Appena terminata la celebrazione eucaristica, Zoe parte come una freccia. Deve correre subito davanti al crocifisso ligneo che è posto sul presbiterio. E rimane là sotto, irremovibile, in attesa che la mamma o il papà la sollevi perché lei possa toccarlo e abbracciarlo. Durante la celebrazione è stata un po’ irrequieta: la Liturgia è stancante per i bambini, ma ciò che la mantiene ferma al suo posto è sapere che terminato il Rito, potrà trottare là, da quel Crocifisso che la attira così tanto. Non so cosa possa capitare nell’animo di una bambina di 4-5 anni, ma io e mio marito la chiamiamo la devota.

Prima di conoscerla era questo il nome che le davamo, perché ci colpiva questa bambina che si lanciava con tanta foga sul presbiterio per correre presso il Crocifisso, stringerlo e baciarlo. Nessuno riesce a fermarla, la mamma non può trattenerla. Solo dopo aver compiuto questa sua pratica personale, la bambina si placa, ritorna in braccio dei suoi genitori e continua a fare le sue cose. Questa scena si ripete ogni domenica. Ormai io e mio marito, al termine della celebrazione, aspettiamo di vedere Zoe che corre, perché la sua azione è talmente evocativa da lasciarci ogni volta commossi.

Zoe è come Maria Maddalena che rimane irremovibile sotto la croce e poi va alla ricerca del suo Signore: «Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala» (Gv 19,25). «Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”» (Gv 20, 1-2). Richiama a tutti noi l’amore verso Colui che ha dato la sua vita per noi; le sue ferite non la spaventano: la attraggono; il suo volto sofferente non la allontana: la cattura; il suo abbraccio inchiodato l’attira e lei abbraccia Colui che sembra impossibilitato a fare qualcosa.

Zoe ci racconta che la Croce del Signore ci è donata perché ciascuno di noi impari ad aggrapparsi a Lui che ha dato la sua vita per noi. Se noi non la accogliamo, questa Croce non può darci la sua salvezza, questa vita dell’Eterno non ci raggiunge. Sofia è vivace, ma sa rimanere sul suo passeggino per un po’. È più piccola di Zoe: ha due anni e spesso rimane abbastanza assonnata durante la Santa Messa, ma terminata la celebrazione deve assolutamente essere portata davanti alla statua di Sant’Antonio, accendere una candelina e mandare un bacino al bambino. «Ciao bambino!», esclama Sofia: il bambino è Gesù, tenuto in braccio dal Santo di Padova, così rappresentato in tutte le statue che lo raffigurano. Il suo è una sorta di saluto fra bambini.

Se Zoe sembra Maria Maddalena, Sofia ci invita ad identificarci con quel bambino, il Figlio di Dio che si è fatto uomo perché noi potessimo diventare come lui. La seconda persona della Santissima Trinità diventa accessibile, vicino a noi, non è più il Dio lontano: è il Dio che si fa carne, per poterci incontrare; si fa bambino perché la sua piccolezza ci faccia accettare la nostra, senza timore. Quel Dio che si fa carne è lo stesso che sarà Crocifisso per poi risorgere: così queste due bambine, con la loro devozione semplice, piccola, inconsapevole, diventano per noi maestre di sapienza. Una perché ci mostra la potenza della Croce, l’altra perché ci rivela la salvezza nell’incarnazione; una perché ci racconta la familiarità con il dolore e la potenza dell’amore donato fino alla fine; l’altra perché ci annuncia il dovere della gioia e della piccolezza.

Natale e Pasqua sono uniti fra loro dall’unico mistero di un Dio che per amore si fa uomo e dona la sua vita per contaminarci di Eternità.