Anno 132 - Settembre 2020

Le parole per dire la fede

Don Livio Tonello, direttore

Ne abbiamo sentite tante di parole in questi mesi... Parole di incoraggiamento, parole di speranza, parole di rabbia, parole mescolate al pianto. Da ogni parte commenti, interpretazioni, opinioni. È stato un modo per esorcizzare la paura, per trovare un senso, per darci coraggio. Abbiamo sentito affermazioni mediche, assistito a discussioni politiche, ascoltato teorie filosofiche. Ma ci sono state parole di fede per dire quello che stiamo ancora vivendo? Perché la scienza è importante, ma non dice tutto. La ricerca medica trova le cause e i rimedi, ma le medicine non bastano.

La persona sofferente richiede vicinanza, si attende una stretta di mano. Per esorcizzare la paura vanno trovate parole di incoraggiamento che sanno di eternità. E queste, la scienza non ce le offre. La piazza vuota di San Pietro, il 27 marzo, è più eloquente di mille discorsi. Una piazza in realtà piena delle preghiere, delle invocazioni, della fede di milioni di persone riunite spiritualmente. Le parole della fede sono quelle capaci di dire ciò che solo il cuore sente. È la capacità di vedere oltre, di non fermarsi al dolore e alla fatica del comprendere.

Dio non ha voluto la morte di suo Figlio in croce ed era presente nel momento fatale. Quello stesso Dio che si fa presente nelle fatiche, nel dolore, nelle avversità umane, la cui voce è avvertita solo da un cuore aperto al mistero. È l’esperienza propria delle “persone di fede” che nella prova scoprono una forza impensata. Quando ci si coltiva spiritualmente nella relazione quotidiana con il Signore, si maturano convinzioni per superare la crisi.

Perché non ci si improvvisa eroi e non scaturiscono per magia le risposte alle domande cruciali. In questi mesi abbiamo un po’ tutti fatto l’esperienza di essere “non praticanti”. È mancata infatti la consueta pratica domenicale della Messa, la frequentazione della propria chiesa. Non per questo possiamo dire che sia mancata la fede, la vita cristiana, l’attività pastorale. L’emergenza ha messo in risalto il “sacerdozio battesimale”, le celebrazioni domestiche, una generosità oblativa. Aspetti della vita cristiana che in ogni caso dovrebbero essere ordinariamente presenti.

Non siamo stati meno spirituali se non siamo andati a Messa, perché la vita di ogni giorno poteva essere una celebrazione della presenza di Dio. Questo è avvenuto se abbiamo vissuto il tempo, le relazioni, la preghiera in modo intenso e profondo. Una telefonata, un saluto dal balcone, un rosario televisivo hanno creato comunione, consolidato relazioni, condiviso preoccupazioni. È questa spiritualità quotidiana, impastata nella vita, che fa sgorgare le parole della fede, quelle capaci di dare un senso, di esplicitare il bene, di riscoprire valori e di ridare fiducia.

Le parole per dire la fede nascono dalla vita quando la si vive alla presenza di Dio. Il contatto con le problematiche di questa nostra umanità fa del cristiano un cercatore di senso capace di ridire con la sua vita parole che sanno di Vangelo.

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