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Le ninfee e il mondo di Monet

Paola Curzu

In questo mese di dicembre ci recheremo a Milano, dove a Palazzo Reale è stata allestita una splendida mostra dedicata a Claude Monet (Parigi 1840 - Giverny 1926), il padre dell’Impressionismo. L’esposizione, promossa dal Comune Milano cultura e curata da Marianne Mathieu, direttrice del Museo Marmottan-Monet di Parigi, ci permette di scoprire o riscoprire più di cinquanta opere del grande maestro presentate in sette sezioni che ripercorrono la sua parabola artistica sul tema della luce e dei suoi infiniti mutamenti.

Nella prima sala si racconta la storia del Musée Marmottan alla quale faremo un breve cenno. Jules Marmottan (1829-1883), amministratore di diverse compagnie minerarie e di trasporti francesi, accumulò grandi ricchezze che devolse in gran parte alla sua passione per l’arte, collezionando diverse opere di “primitivi” italiani e fiamminghi per abbellire la sua residenza parigina, il fastoso “hotel particulier” nel 16° “arrondissement” della ville Lumière.

Il figlio Paul (1856-1932), studioso, mecenate e raffinato collezionista, lascerà in eredità all’Académie des Beaux Arts la sontuosa dimora ereditata dal padre e la sua preziosa collezione destinandole alla formazione di un museo. Trent’anni più tardi il Museo Marmottan si arricchirà della più grande collezione al mondo di opere di Monet, grazie all’eccezionale lascito del figlio Michel nel 1966, prendendo così il nome di Musée Marmottan-Monet.

Di sala in sala seguiremo il percorso artistico di Claude Monet. Fin dagli anni dell’adolescenza a Le Havre, dove la sua famiglia si era trasferita, espresse il suo genio precoce realizzando sferzanti caricature che i modelli acquistavano volentieri. La sua vocazione artistica lo condusse poi a Parigi, dove si formò con maestri eccellenti e dove i più importanti artisti del tempo accorrevano per i “Salons”.

Negli anni seguenti l’artista, spesso afflitto da ristrettezze economiche, viaggiò molto: si recò in Nord Africa, in Normandia, a Londra, in Italia per tornare poi in Francia, a Parigi, ad Argenteuil e infine stabilirsi a Giverny. Ogni viaggio diventa occasione e fonte di ispirazione, di riflessione, di studio delle infinite variazioni della luce: sulle tele dipinte “en plein air” (all’aperto) con tocchi veloci, agevolati dall’invenzione dei più maneggevoli colori in tubetto, l’artista cattura e fissa il fremito quasi inafferrabile della luce in diverse ore del giorno, trasforma l’aria stessa in una gamma cromatica che spazia da colori chiari quasi diafani a quelli più corposi e intensi: ed ecco i paesaggi rurali e urbani di Londra, le “viste sul Tamigi”, dove il fremito dell’acqua si sfalda in pennellate vibranti, il “ponte di Charing Cross” avvolto in una nebbia azzurrina, “il Parlamento, riflessi sul Tamigi” composto sui toni del viola e del verde; i paesaggi dipinti a Bordighera scintillanti del rosa albicocca dei fiori, del verde smeraldo del mare, del blu tendente al viola del cielo in uno sfolgorìo di colori mediterranei che affascinarono e meravigliarono il pittore.

Sostiamo poi davanti alle tele dipinte in Normandia, come “sulla spiaggia a Trouville”, dove Monet ha raffigurato in primo piano — con sintetiche pennellate bianche, grigie e azzurre – la moglie Camille che morirà a soli 32 anni e sua cugina su uno sfondo in cui la diagonale dell’acqua crea un effetto di profondità. Poi le vedute del ponte ferroviario di Argentueil, simbolo della vita moderna che modificò profondamente il paesaggio intorno a Parigi e che l’artista sembra accompagnare con ottimismo. Infine le tele dipinte a Giverny, un paesino normanno in cui Monet si trasferì nel 1883 e dove visse fino alla morte.

Qui acquistò una grande casa con un fienile che divenne il suo atelier e trasformò l’orto della proprietà in un meraviglioso giardino: un tripudio di piante e di fiori che sbocciano in diversi periodi dell’anno al quale qualche anno più tardi, deviando il corso di un affluente dell’Epte, aggiunse il lago delle ninfee con il ponte giapponese e i salici piangenti che furono inesauribile fonte di ispirazione per l’artista. Come nelle “ninfee” in mostra, Monet rappresenta un mondo fluttuante in cui è difficile distinguere l’immagine dal suo riflesso sulla superficie dell’acqua sulla quale si specchiano le nubi colte nell’attimo fuggente.

Il percorso espositivo si conclude con toccanti dipinti di fiori resi quasi astratti dalle ampie e sintetiche pennellate e dei quali Monet disse: «Forse devo ai fiori l’essere diventato un pittore».