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Le antifone dello stupore

suor Marzia Ceschia

Lo stupore percorre le sette antifone maggiori che – dal 17 al 23 dicembre – scandiscono nella liturgia l’approssimarsi alla celebrazione del Natale e si aprono ciascuna con un “o” adorante e stupito. Solennemente cantate fin dall’VIII secolo, delineano un itinerario di sette giorni e che tende all’ottavo giorno, al giorno del compimento, della gioia piena, quello dell’Incarnazione del Figlio di Dio, atteso e meditato nei tratti salienti della sua fisionomia che ci ricolma di meraviglia, ci accompagna, ci prende per mano per guidarci all’intelligenza di quello che Lui ha fatto per noi.

Di antifona in antifona siamo sollecitati a riconoscere il suo volto per rivedere anche il nostro, per entrare in una più profonda e rinnovata consapevolezza dell’amore che il Padre ha per la sua creatura: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Le antifone dipanano con solennità sacra la storia della salvezza.

Ciascuna, dopo l’“o” stupito, si apre con una parola, un appellativo, che ci dice qualcosa del Bambino che viene: Sapientia, Adonai, Radix Iesse, Clavis David, Oriens, Rex gentium, Emmanuel. Le iniziali costituiscono un acronimo, s-a-r-c-o-r-e, che letto a ritroso forma l’espressione “ero cras”, cioè “domani verrò a esistere”. Sono espressioni teologicamente molto dense che ci illuminano progressivamente fino al giorno in cui celebriamo la luce vera venuta nel mondo, «quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9).

Nel Bambino nato per noi la creazione si rinnova, torna a splendere nella sua autentica bellezza. Antonio di Padova celebra con queste parole tale mistero: «“Egli fa cose grandiose e inconcepibili e meraviglie senza numero”. Fece cose grandi nella creazione, inconcepibili nella ri-creazione; farà per noi cose meravigliose nell’eterna beatitudine. O anche: “fece cose grandi” nella sua incarnazione, e perciò la beata Vergine Maria dice: “Ha fatto in me grandi cose colui che è potente, e santo è il suo nome” (Lc 1,49); “inconcepibili” nella sua nascita, nella quale la Vergine partorì lo stesso Figlio di Dio; “meravigliose” nell’operare miracoli. Sia benedetto, perché sa e conosce tutto colui che per noi ha operato tali meraviglie.

Di lui l’Apostolo dice: “La parola di Dio è viva ed efficace”» (Domenica V dopo Pasqua). Dio venuto nella carne davvero ci garantisce che tutto sa di noi, che nulla dell’umano è estraneo alla sua passione per l’uomo. Francesco d’Assisi, scrivendo a tutti i fedeli, contempla il movimento della discesa dell’Altissimo per raggiungere l’uomo non esteriormente, ma nella carne, fin nella sua precarietà e vulnerabilità.

In questi spazi che fatichiamo ad accogliere, dai quali vorremmo spesso fuggire, Dio viene con noi e – abbassandosi – ci offre la possibilità di rialzarci, di fare della nostra povertà creaturale un luogo di affidamento a Lui e di libertà da tutto ciò che ci rende schiavi, condizionati, dipendenti, non autentici: «L’altissimo Padre celeste, per mezzo del santo suo angelo Gabriele, annunciò questo Verbo del Padre, così degno, così santo e glorioso, nel grembo della santa e gloriosa Vergine Maria, e dal grembo di lei ricevette la vera carne della nostra umanità e fragilità.

Lui, che era ricco sopra ogni altra cosa, volle scegliere in questo mondo, insieme alla beatissima Vergine, sua madre, la povertà» (Lettera ai fedeli). “Domani sarò qui”, ci assicura il Signore e il tempo del Natale ci permette di fare memoria di una promessa già realizzata, di una realtà che è sempre in azione nella nostra esistenza: Lui è qui, è con noi «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Il canto delle cosiddette antifone maggiori, o antifone “o”, ci attrae al di là del nostro tempo nel piano incommensurabile di Dio, còlto nei suoi indizi già nell’Antico Testamento (cui i testi delle antifone stesse fanno riferimento), realizzatosi in Cristo, continuamente operante finché tutto sia ricapitolato in Lui (cf. Ef 1,10).