Anno 132 - Settembre 2020Scopri di più

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Io sto con le cicale

Elide Siviero

Sono sempre un po’ stupita da coloro che vivono nella gratuità, che fanno volontariato offrendo tempo, denaro, competenze per gli altri; ma sono sbalordita anche da coloro che, invece, monetizzano tutto, richiedono un compenso per tutto quanto fanno. Ci sono le persone gentili che ti danno un aiuto e quelle che invece vogliono un rimborso per ogni respiro in più che fanno.

Mi chiedo da dove derivi la differenza di comportamento nelle persone: a volte pensiamo che chi vuole un compenso sia solo una persona gretta ed egoista, invece, riflettendoci, credo che sia dovuto anche al pensiero che la retribuzione riveli il valore di quanto compiuto, addirittura il proprio stesso valore. Non si regala nulla, per paura di perdere se stessi. In ogni caso, il mondo spesso si divide in due fazioni: i generosi e quelli che non vogliono perdere niente. Nel Vangelo abbiamo un racconto che evidenzia i due aspetti.

È riportato al capitolo 12 del vangelo di Giovanni. «Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Làzzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Làzzaro era uno dei commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariòta, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: “Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?”.

Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro». Da una parte abbiamo Maria che, negli ultimi giorni di vita di Gesù, compie un gesto pieno di amore e di uno spreco pazzesco: versa sui piedi di Cristo l’essenza di puro nardo dallo strabiliante valore di 300 denari, il corrispettivo di 300 giornate di lavoro! Gesù è confortato da quel gesto, apprezza l’amore generoso e gratuito della discepola, come apprezza il nostro amore.

Dall’altro lato abbiamo Giuda, tutto preso dal suo conteggio economico, apparentemente preoccupato dei poveri, mentre è solo il prototipo di coloro che tenendosi tutto per sé stessi, vivono nella tristezza. Solitamente nel Vangelo è sempre Gesù Cristo che opera per gli altri: guarisce, tocca, conforta, risana, divide il pane, dona il suo Vangelo di salvezza; in questo brano, invece, Egli è colui che riceve le attenzioni dell’amore. La gratuità ci mette in questa situazione: possiamo comportarci come Gesù Cristo.

Questa donna rappresenta il frutto maturo del Vangelo: la reciprocità dell’amore con il Signore in una possibilità infinita di dare e ricevere amore. In questa estate, mentre sentiamo il frinire delle cicale, mi viene in mente una poesia deliziosa “La cicala e la formica” di Gianni Rodari, che sembra commentare meravigliosamente questa scena del Vangelo e lo stile che dovremmo avere: «Chiedo scusa alla favola antica se non mi piace l’avara formica io sto dalla parte della cicala che il più bel canto non vende... regala!».

Ecco la nostra meta: diventare delle meravigliose cicale, pronte a sprecare il loro canto per Dio.