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In ascolto tra il Golgota e il Tabor

suor Marzia Ceschia

L’evento della Trasfigurazione è, ogni anno, celebrato nella seconda domenica di Quaresima (nell’itinerario, dunque, verso la Pasqua) e anche il 6 agosto, significativamente 40 giorni prima della festa dell’Esaltazione della Croce. La liturgia ci sollecita così a collegare i misteri della passione e della gloria, il Golgota e il Tabor.

Tutti e tre i sinottici narrano quest’episodio della vita di Gesù (Mt 17,1-9; Mc 9,2-20; Lc 9,28-37) quale momento decisivo nel suo cammino verso Gerusalemme, verso la Morte e la Resurrezione. Dal racconto emerge indubbiamente una parola forte su Dio, ma anche – al tempo stesso – una parola forte sull’uomo. Gesù si manifesta, dinanzi a Pietro, Giacomo e Giovanni, in tutta la bellezza e lo splendore della sua divinità, perché si imprima negli occhi dei suoi la luce del suo volto glorioso per i giorni in cui lo vedranno sfigurato e vacilleranno.

Lo sguardo stesso dei discepoli è trasformato: essi sono resi capaci di vedere oltre, di contemplare e incontrare il Dio della gloria. È significativo che tutto questo accada in un contesto di preghiera: è questo lo spazio privilegiato in cui il Signore si fa vedere e ci fa vedere, nella misura in cui stiamo in relazione con lui. Gesù stesso, nella preghiera – non solitaria, ma condivisa con i suoi – vede e ascolta, prende coscienza di ciò che lo attende, ma anche sa come lo vede il Padre. Gesù è “trasformato” nell’adesione al Padre, nell’intimo legame con lui: da qui sprigiona la luce che illumina tutta la sua storia, ma anche la storia dell’uomo.

I discepoli sono coinvolti in un’esperienza che vuole offrire loro altre chiavi di lettura del dolore, della morte, delle tenebre. A Pietro, Giacomo, Giovanni, a noi è chiesto un rovesciamento di mentalità, è chiesto di entrare nella mentalità della fede. Se il volto trasfigurato di Gesù è lo stesso che sarà sfigurato nella passione, quale speranza, quale coraggio ci sono dati? La voce del Padre ci guida a capire: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17,5).

Nell’espressione mi sono compiaciuto è richiamato il primo carme del Servo di Isaia 42, come a dire che l’essere servo – donare la vita – è intrinseco all’essere Figlio. A questa logica ci è chiesto di dare ascolto, di questa logica ci è chiesto di fidarci, per avere un chiaro criterio di scelta – il criterio dei “figli” – in ogni situazione dell’esistenza. Ascoltarlo significa sapere in ogni circostanza chi seguire.

Ascoltarlo significa imparare da Lui per non essere tentati nel tempo del dolore, per non soccombere alla paura e alla disperazione. Ascoltarlo significa imparare qual è la gloria di Dio e la nostra destinazione: la bellezza e il peso dell’amore che trasforma e fa vivere, il peso della sua fedele presenza anche nei luoghi della contraddizione. Possiamo allora discendere dal “monte” ed essere certi che ci è dato di ascoltarlo – se noi prestiamo attenzione – in tutto il dipanarsi delle nostre quotidianità.

La meta del discepolato è assumere la Sua forma. Scriveva a riguardo, in Sequela, il pastore e teologo luterano Dietrich Bonhoeffer: «... chi vuole, secondo la promessa di Dio, partecipare allo splendore e alla gloria di Gesù, deve prima essere reso simile all’immagine del servo di Dio, che obbedì e patì sulla croce. Chi vuole rivestire l’immagine trasfigurata, deve aver portato l’immagine dell’uomo crocifisso, oltraggiato qui in terra. Nessuno può ritrovare l’immagine di Dio perduta se non chi ha fatto parte dell’immagine di Gesù Cristo incarnato e crocifisso.

Dio si compiace solo in questa immagine. Solo chi si fa trovare conforme a questa immagine vive nel compiacimento di Dio. Identificarsi con l’immagine di Gesù Cristo non è solo un ideale che ci impone di divenire, in qualche modo, simili a Cristo. Non siamo noi ad assumere l’aspetto di Dio, ma è l’immagine di Dio stesso, di Cristo stesso che vuole manifestarsi in noi. Cristo non cessa la sua opera in noi prima di averci resi uguali a sé.

Dobbiamo essere conformati in tutto a colui che si è incarnato, che è stato crocifisso e trasfigurato. Cristo ha rivestito l’aspetto di uomo. Divenne un uomo come noi. Noi riconosciamo la nostra propria immagine nella sua umanità e nella sua umiltà. Egli si è reso uguale agli uomini perché questi potessero essere uguali a lui».