Anno 131 - Luglio/Agosto 2019

Il cuore dell’usuraio

Alfredo Pescante

Non incute sgomento, nel sesto altorilievo dietro l’Arca, quello squarcio nel petto del giovane usuraio adagiato sul cataletto della morte, segno della taumaturgia di sant’Antonio che ne fa rinvenire il cuore nel forziere? Il marmo nel suo candore rende assai efficace un importante capitolo della vita di Antonio: la lotta agli usurai, “genía che con i denti molari stritola i poveri”. Il Santo qui è puro Vangelo, ammonendo: «Dov’è il tuo tesoro, lì è anche il tuo cuore».

Tullio Lombardo, che da grande scultore esegue l’altorilievo (1525), ha soddisfatto i desideri dei committenti che lo sapevano capace d’impressionare la schiera di chi prestava denaro a usura, allora e oggi diffusa piaga sociale. Questo mirabile gruppo di personaggi raggiunge i vertici della bellezza classica e ognuno con bocca, occhi e braccia interpreta l’accaduto, sfilando a testimoniare “con ridondanza di significazione degli affetti” (Pietro Selvatico).

Antonio dal volto giovanile, accanto a lui un frate, par dire: «Guardate se nel petto esista il cuore!». Tre uomini barbuti, dopo aver osservato accuratamente il corpo inerte e perfino messa la mano nello squarcio, danno ragione al Santo dopo che un anziano ha aperto il forziere. Le due eleganti dame hanno compreso per prime la verità. Il nudo e svagato piccino, unico, non può ripetere con gli altri: «Le ricchezze valgono nulla!», pensiero di Antonio che del peccatore chiedeva «la sepoltura in luogo sconsacrato, lungo le mura della città, come un cane».

L’episodio non è fantasia, ma storia scritta da Servasanto da Faenza entro il 1280 e appresa dalla viva voce di qualcuno che aveva assistito all’evento.

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