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Il colore dei sogni

Germano Bertin

Chi non ha sognato, almeno una volta, di correre leggero dentro a un campo di grano? Chi non ha sognato di lasciarsi sfiorare dalle carezze morbide e pungenti di un mare di spighe, già alte e bionde di vita? Chi non ha sognato di affidare i propri sogni piú segreti a passi in libertà, bagnati dentro al giallo-oro di un campo di grano?

Chi non è stato catturato, almeno una volta, da un campo di grano accarezzato da un vento sottile, caldo, inquieto, imprevisto che tanto assomiglia alle braccia del mare che senza limite e confine, senza tempo e senza spazio, racconta di sole, di sale, di sogni, di audacia? In quel campo il corpo si fa leggero e invisibile: attraversa quelle onde dorate piegate dalla maturità del tempo che corre veloce.

Dentro a quelle spighe silenti abitano piccoli semi che già profumano di appartenenza, di incontro, di condivisione, di consolazione, di coraggio: racconti di esistenze che, attraversato il silenzio dell’inverno, annusata la temerarietà della primavera, consegnano al sognatore che, uscito in autunno a seminare promesse, finalmente raccoglie restituzioni avvolte, ancora una volta, in piccole sementi.

Ecco ciò che restituisce un campo di grano: il colore dei sogni, il profumo del domani, il fascino dei piccoli passi, la voce del vento che sempre sorprende e sospinge. Nel silenzio eloquente di questo intreccio di suggestioni si fa strada l’inedito, che cresce solo tra mani a conchiglia, perché, scrive Erri De Luca, solo «i desideri dei bambini danno ordini al futuro»: mentre gli adulti, tutti, che pure sono stati bambini, spesso se ne dimenticano. I sogni non si compiono, non si avverano, non accadono: piuttosto, crescono, diventano grandi, si trasformano, trasformano.

Perché i sogni sono fatti di pezzi, di passi, di tempo, di spazio e di vento. E si sa: quelli nati con il vento vanno sempre lontano. Non sono le parole giuste quelle che riescono a parlare al cuore, ma quelle scelte: perché «il cuore – canta Lucio Dalla in Le cicale e le stelle – non è un calcolo, freddo e matematico, ma è come un bimbo libero».

È «nel silenzio della notte – insiste Dalla – quando ci fermiamo a guardare e ad ascoltare le cicale delle stelle», che ci rendiamo conto di cosa ci perdiamo quando corriamo dietro a destinazioni che durano il tempo di un sospiro: il vento, invece, è altro, è per cuori dal passo libero e tenace. «Il pensiero, come l’oceano – canta ancora Lucio Dalla – non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare […] è fatto per volare al fresco delle stelle e anche più in là»: non c’è nulla, non c’è nessuno che riesca a fermare il “de-siderio” di quell’Ulisse che, in fondo, abita dentro a ciascuno: i sognatori apprendisti del vivere non sono fatti per avventure mediocri, ma solo per destinazioni audaci, quelle che saziano e che fanno diventare “grandi”, consistenti, tenaci. «Se partirai per Itaca – cantano Roberto Vecchioni e Francesco Guccini in Ti insegnerò a volare – ti aspetta un lungo viaggio e un mare che ti spazza via i remi del coraggio, la vela che si strappa e il cielo in tutto il suo furore.

Però per navigare, ragazzo, basta il cuore: qui si tratta di vivere, non di arrivare primo […] te lo fai tu il destino e se non potrai correre e nemmeno camminare, ti insegnerò a volare». Quel mare di grano bagna lo sguardo di chi osa cercare esistenze altre, diverse, uniche, parlanti. Quel mare ha il colore dei sogni, la voce delle conchiglie, il cuore dei piccoli, il passo degli audaci, le ali dei pionieri.