Anno 131 - Ottobre 2019

Il bicchiere di Aleardino

Alfredo Pescante

Non si parla d’altro nei mesi seguenti la morte di Antonio che dei suoi miracoli a coloro che con fede ne fan richiesta tramite la preghiera, seguita dalla Confessione e promessa d’una vera vita cristiana. Alla Chiesa di Santa Maria Madre del Signore, ove è sepolto il Santo, non giungono solo i padovani o gente che crede. Molti i “foresti” (forestieri), così pure i non credenti o eretici.

Aleardino, cavaliere di Salvaterra, “irretito nell’eresia”, dice l’Assidua (1232), vuol burlarsi del Taumaturgo. Giunto a Padova con moglie e famiglia, siede al primo piano d’un ristorante, mangia e beve con i suoi e sollevato il vuoto bicchiere di vetro lancia la sfida: «Se Antonio riuscirà a evitare che questo si frantumi, crederò alla sua santità».

Scagliatolo sul selciato sottostante, rimane intatto! L’eretico, al miracolo, si pente, raccoglie il bicchiere e lo porta con sé narrando tutto ai frati. Confessato e accolta la penitenza, «aderisce con fedeltà a Cristo e ne predica con ardente costanza le meraviglie». Efficace la descrizione del prodigio resa in marmo dagli scultori Gianmaria Mosca e Paolo Stella (1529) nell’ottava scena da sinistra della Cappella dell’Arca, reiterata negli ambiti basilicali.

Undici i personaggi (due frati in stiacciato) di cui otto proiettati sul bicchiere a osservare o volerlo cogliere. Aleardino con l’indice della sinistra segnala il bicchiere partito dall’alto, con la destra la rottura del selciato. La scena, movimentata, è resa con perizia dagli artisti per coinvolgere anche noi a raccogliere i messaggi dall’alto con l’intensità del piccino perfin contorto dalla brama.

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