Anno 133 - Marzo 2021Scopri di più

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Guarda... è primavera

Germano Bertin

Andavo di fretta. Era tutto organizzato: le cose da fare; i tempi entro cui fare ogni cosa. Mio figlio da svegliare, far vestire, far mangiare, da portare a scuola. Poi, di corsa, al lavoro. E tutto, lottando contro il traffico - metafora della vita - sempre incredibile, talora ostile, dove la fretta degli altri si oppone inesorabilmente alla mia.

Cosí fanno i grandi. Anzi, solo cosí sanno vivere i grandi: in fretta. O forse, come preferiscono dire loro: “ben organizzati”. «Guarda, papà!». Improvvisamente lui si ferma: e tutto si ferma. La mia fretta s’inceppa. Il mio tempo è sospeso. La mia organizzazione viene vanificata. Mi fermo. Guardo mio figlio. Mi scoppiano dentro domande che non trovano risposta: «Cosa succede? Cosa vuoi adesso?».

Lui nemmeno mi guarda. Quindi, sposto il mio sguardo verso il punto dove stava appeso il suo. Ancora non capisco. Finalmente mi viene in soccorso il suo indice: «guarda!». I rami della pianta sotto cui era parcheggiata la mia auto mostrano, con palpabile pudore, fragili punti di colore: i primi fiori dopo il silenzio dell’inverno. È primavera. E io non me ne ero ancora accorto. Per capirlo, avevo avuto bisogno di uno sguardo stabilmente puntato verso l’alto, perché io, cosí abituato a guardare dall’alto verso il basso, non avevo saputo nemmeno riconoscere il profumo di quella primizia. I bambini, forse senza saperlo (o forse anche no), vanno a cercare ciò che è piú grande di loro proprio nelle piccole cose: per questo crescono.

Gli adulti, invece, troppo spesso se ne scordano, e per questo non diventano mai davvero “grandi”. Gli occhi degli esseri umani, da sempre, sono andati a caccia di immenso: ancora oggi, alcuni tra loro continuano a scrutare gli oceani, ad ammirare le terre alte, a contare le stelle nella notte. E a provarne stupore. Erri de Luca ha scritto che «… l’astronomia è stata la prima scienza delle civiltà e la notte fu esplorata piú del giorno: perché era tanto piú vasta. Il pensiero ha forzato segreti e scippato conoscenze per allargare il campo della poca vita».

Inseguire l’infinito dilata lo spazio del vivere, rende profondo il respiro, sazia i pensieri, suggerisce domande, sorprende chi osa darsi tempo. Il poco è indizio di pienezza, come il silenzio annuncia il dire. «Potremo ancora giocare la partita del tempo – canta Fiorella Mannoia nel suo “Ascolta l’infinito” – e magari colorare qualche cartolina, o tenere il cuore lontano da ogni nostalgia. E questa voglia di caldo che arriva piano, questa sete di vita che ci prende la mano» racconta il colore della vita che affiora dalle pieghe delle cose che sfuggono a chi va di fretta.

La vita fiorisce, fedele, puntuale, imprevedibile: comunque, sempre dopo le crepe dell’inverno. Dentro alle domande che affollano le notti piú difficili, sempre troppo lunghe, germogliano prima, e crescono poi, risposte inattese. E hanno sempre un colore. La notte contiene tutti i colori, ma li nasconde, li custodisce, li protegge. Il giorno li regala, pronunciandone il nome, quello giusto, quello che lo riconosce, lo distingue, lo chiama. Guarda. È primavera.