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Cosa abita nel cuore di Gesù?

suor Marzia Ceschia

Il mese di giugno è tradizionalmente legato alla devozione al Sacro Cuore di Gesù, molto cara ai fedeli, come anche attesta la diffusa iconografia. Festa mobile, che cade (quest’anno l’11 giugno) il venerdì successivo alla solennità del Corpus Domini, è in stretta connessione alla celebrazione del sabato immediatamente successivo, quella del Cuore Immacolato di Maria.

La devozione popolare al Cuore di Gesù era già diffusa in epoca medievale, basti pensare all’apporto di personalità come Matilde di Magdeburgo (1207-1282), Matilde di Hackeborn (1241-1299), Gertrude di Helfta (1256-1302), quest’ultima chiamata “teologa del Sacro Cuore”, e al contributo alla diffusione del culto da parte degli Ordini mendicanti, francescani e domenicani.

Un influsso particolare va riconosciuto alla letteratura mistica e soprattutto a S. Margherita Maria Alacoque (1647-1690) visitandina presso il monastero francese di Paray-le-Monial, la quale fece – nel corso di rivelazioni private - per ben diciassette anni l’esperienza di apparizioni di Gesù che la sollecitava a una più profonda devozione al suo cuore: «Il Divino Cuore mi fu presentato come in un trono di fiamme, più sfolgorante di un sole e trasparente come un cristallo, con la piaga adorabile; esso era circondato da una corona di spine e sormontato da una Croce».

Fu papa Pio XI a istituire ufficialmente la festa del Sacro Cuore, incentivando così anche l’edificazione di cappelle, santuari dedicati: tra i più noti il Santuario “Sacro Cuore” a Montmartre a Parigi, iniziato nel 1876 e la cui costruzione richiese 40 anni di lavoro. Per tutto l’Ottocento e nella prima metà del Novecento sorgono numerosi istituti religiosi, maschili e femminili, dedicati al Sacro Cuore, a dimostrazione della notevole incidenza della devozione presso il popolo cristiano. Nella seconda metà del XX secolo il culto al Cuore di Gesù entra in crisi.

È papa Pio XII, con l’enciclica Haurietis aquas (15 maggio 1956) a riproporne il significato profondo, dal punto di vista biblico, patristico e teologico. «È nei testi della Sacra Scrittura, nella Tradizione e nella Sacra Liturgia, che i fedeli devono ricercare le sorgenti limpide e profonde del culto al Cuore sacratissimo di Gesù» (n. 55), afferma il Pontefice. La meditazione sul Cuore di Cristo ci rimanda al Calvario: «Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19,33-34).

La narrazione giovannea ci consegna il senso essenziale dell’offerta del Signore: la carità e, nella carità vissuta fino alle sue estreme conseguenze, la possibilità della Vita, della redenzione dalla morte, dal male, dal peccato per ogni uomo e donna che si lasciano immergere, battezzare, nella logica del suo amore. Dal cuore di Cristo non escono la vendetta, l’odio, ma la disponibilità a dare tutto gratuitamente affinché nessuno sia perduto.

La contemplazione dell’umanità del Signore nel suo costato trafitto apre alla nostra debolezza, alle nostre fragilità, una via di redenzione, un cammino in cui possiamo davvero essere fatti nuove creature (2Cor 5,17), perché «Dio è amore» e «chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1Gv 4,16).

È l’amore che ci rinnova ed è l’amore soltanto «forte come la morte» (Ct 8,6), capace di contrapporsi a essa e di vincerla. L’icona del Cuore di Cristo – tutt’altro che un romantico devozionismo – ci ripropone questo annuncio e ci sollecita ad ascoltare, con verità, che cosa abita nel nostro cuore, che cosa esce dal nostro cuore e che cosa il nostro cuore custodisce nelle relazioni con i fratelli e le sorelle.

Dinanzi al Cuore di Gesù possiamo tornare a imparare che cosa significa amare fino alla fine, amare incondizionatamente, amare obbedendo alla volontà di salvezza che il Padre nutre nei riguardi di ogni uomo.