Anno 135 - Settembre 2023Scopri di più
Colori da riconoscere
Elide Siviero
Durante la partita Svizzera-Camerun dello scorso mondiale ci fu una specie di rivolta da parte dei daltonici di tutto il mondo, perché il loro deficit visivo impediva loro di distinguere una squadra dall’altra. Le divise indossate dalle nazionali in campo, anche a dispetto di uno studio della Uefa (Colour Blindness in Football) che per la trasmissione delle immagini preme per una scelta inclusiva, erano davvero molto simili per i daltonici. È necessario che sul terreno di gioco sia evidente il contrasto più elementare tra chiaro e scuro, in modo da aiutare anche le persone insensibili alle sfumature dei colori a orientarsi nel commento fatto a corredo delle immagini.
Ma qualcosa non ha funzionato nei colori scelti dalle due squadre, perché nel match gli elvetici in rosso non si distinguevano dai camerunesi in verde. Per i daltonici era impossibile seguire la partita. Questo episodio mi ha fatto pensare che spesso noi siamo daltonici rispetto al colore del senso della vita, delle virtù. Il rischio che continuamente corriamo è quello di non cogliere la differenza tra ciò che è importante e ciò che lo è meno, che non avvertiamo le sfumature della vita spirituale: il Vangelo viene a dirimere ogni questione. Gesù Cristo è la verità che mostra la differenza dei colori: ci permette di non confondere il blu con il rosso, il bene con il male, ciò che è prezioso con quanto è meno importante.
L’esperienza della Premier League può essere un esempio: un software segnala una “bandiera per daltonici” che identifica le migliori combinazioni possibili delle maglie e gira queste informazioni alle società affinché tutti, compresi quelli con problemi di visione dei colori, possano distinguere chiaramente le formazioni in campo. Ecco, Gesù Cristo è la nostra “bandiera per daltonici”, che ci permette di orientarci, malgrado la nostra deficienza, nei colori della vita. Ad esempio, nel Vangelo Gesù Cristo istruisce i suoi discepoli e comanda a loro: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima» (Mt 10, 28).
E noi pensiamo che possiamo essere spavaldi, indomiti, temerari: il Vangelo e tutta la Scrittura sono intessuti da questa rassicurazione: «Non temere, non avere paura». Ma ecco il colore che invece non riusciamo a distinguere senza l’aiuto di Cristo: «Abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo». Quindi, c’è una paura che dobbiamo avere. Essa si riferisce certamente a Dio che è colui che ha potere sulla vita e sulla morte. «È terribile cadere nelle mani del Dio vivente!» afferma la Lettera agli Ebrei (10,31). È come se il Vangelo ci dicesse che il Cristiano non deve avere paura di nulla, tranne che di Dio. È pazzesco.
Non capiamo questa sfumatura, perché siamo daltonici rispetto a questi colori. In realtà, in ebraico c’è una sola parola per indicare sia la paura che il timore di Dio. La paura è legata all’angoscia di perdere qualcosa: non è semplicemente uno spavento momentaneo; se è quella degli uomini, è il terrore di perdere il proprio corpo. Questo ci decentra dalla vera paura che dobbiamo avere: quella di perdere la nostra anima. Perché la paura è legata sempre a qualcosa che noi riteniamo importante: ci rivela ciò a cui teniamo veramente.
Per capire il timore di Dio immaginiamo di tornare bambini e di dover attraversare il buio. Finché il papà ci tiene la mano, non paventiamo nulla: in quel momento l’unica cosa che temiamo veramente non è più il buio, ma quella di perdere la mano di colui che ci conduce nel buio. Nel momento in cui ci sentiamo soli, perdiamo quella mano, abbiamo paura. Il timore di Dio è la paura di perdere Dio. Ecco il colore che dobbiamo riconoscere per non essere spiritualmente daltonici e vivere una vita grigia, nel bianco e nero della mediocrità, con mille paure, tranne quella davvero necessaria.