Anno 134 - Luglio-Agosto 2022

Quella felicità che è beatitudine

Don Livio Tonello, direttore

stato di beatitudine

Una forte aspirazione umana è il raggiungimento della felicità. Sono molteplici i modi e altrettanti i luoghi nei quali si concentra la ricerca. Non possiamo banalmente considerare solo la smania del denaro e del potere o il desiderio della salute. La felicità vera probabilmente non esiste, ma solo persone felici. E si può essere felici anche senza essere circondati da tanti beni o avere un posto di rilievo nel mondo.

Anzi: sono spesso le preoccupazioni legate agli affari a togliere il sorriso e la serenità. In quale direzione, allora, tendere alla felicità? In realtà Gesù non ha promesso la felicità, piuttosto ha indicato la via della beatitudine. Il Vangelo chiama beate quelle categorie di persone che nulla hanno a che fare con la gratificazione umana. Ci sono situazioni che sembrano essere proprio l’esatto contrario.

Povertà, malattie, ingiustizie, persecuzione che tipo di piacere possono promettere? La beatitudine, invece, è la consapevolezza di avere gli stessi sentimenti di Dio. Pur trovandosi dentro a situazioni faticose, sentire che quella è la strada di una vera umanizzazione. Beati sono i misericordiosi, i puri di cuore, i miti, gli operatori di pace... coloro che non sgomitano e non hanno nulla da rivendicare per dimostrare chi sono. Condividono la comune realtà umana contribuendo a valorizzare la dignità delle persone e puntando a quella solidarietà che rende fratelli e sorelle.

C’è anche un altro aspetto sul quale riflettere. La felicità umana la si pensa sempre in prospettiva. È l’attesa di qualcosa che potrebbe realizzarsi nel futuro. Aspettiamo un incontro, speriamo in un cambiamento, aneliamo a un colpo di fortuna... sempre dopo, sempre oltre. Anche i cristiani vivono in prospettiva futura: è la dimensione escatologica, cioè il compimento nel Regno di Dio di ogni anelito di bene.

Ma questa beatitudine futura trova già ora la sua manifestazione. Lo scrittore Oscar Wilde, famoso per gli aforismi, affermava che «la felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha». La vita che ci è donata è da vivere in pienezza, realizzando quella beatitudine evangelica che Gesù stesso ha perseguito. Da essa scaturiscono soddisfazioni che valorizzano la propria originalità e l’accoglienza serena di ciò che la vita offre.

Se la intendiamo come godimento e assenza di problemi, non avremo mai l’opportunità di gustarla perché ci sarà sempre qualcos’altro che la svilisce e la rende irraggiungibile. Ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita è un bel segnale di come stiamo affrontando il cammino.

Anche nel deserto ci sono le oasi: ce n’è sempre una nel profondo dell’anima. In questo tempo estivo anche la contemplazione del creato contribuisce a sperimentare una “beatitudine naturale” che rallegra il cuore. Non ci dimentichiamo che siamo parte di una immensa opera creativa che il Padre ha disegnato con sapienza. Può essere la casa della felicità se la viviamo con lo stile della gioia evangelica.

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