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Quaresima: il senso del digiuno

Don Chino Biscontin

Riconosco che sono sinceramente ammirato di quei fedeli musulmani, e sono tantissimi, che mettono con rigore in pratica le prescrizioni coraniche del mese di Ramadan. Dall’alba al tramonto dei trenta giorni osservano un digiuno totale: non assumono né cibo né bevande, neppure acqua. Solo dopo il tramonto e prima dell’alba possono mangiare e bere. E poiché il calendario lunare mussulmano ha dieci o undici giorni in meno dell’anno solare, può capitare che il mese del digiuno cada nella stagione più calda (nel 2011 cadeva in agosto).

Questa pratica, che è uno dei tratti fondamentali della religione coranica, segna profondamente il corpo e l’anima dei fedeli, e diventa un legame di grande vigore per la comunità. Accompagnata da preghiere, studio del Corano e da opere di carità verso i poveri, rinvigorisce il fervore religioso. Vi sono studiosi che ritengono che quel digiuno, oltre che da pratiche arabe preislamiche, derivi anche dall’influsso della

Quaresima cristiana, così come era praticata nelle chiese della Siria, e soprattutto dai monaci. Anche per questi nostri padri nella fede era previsto un mese di severo digiuno, intensa preghiera, lettura delle Scritture e opere di solidarietà verso i poveri. Questo rigore ha lasciato tracce meno profonde, ma non insignificanti nella storia e i più anziani tra di noi ricordano ancora pratiche quaresimali di astinenza e digiuno. Ai nostri giorni l’aspetto penitenziale corporale della Quaresima quasi non esiste più, e anche il pochissimo che rimane non è molto osservato. Nel confronto con i musulmani a noi manca una pratica così impegnativa e significativa.

Ciò che non segna anche il corpo difficilmente ha una risonanza profonda nell’anima, e ciò che non è corale, ma lasciato alla buona volontà individuale inevitabilmente sbiadisce. La storia della nostra Quaresima ha le sue radici nelle comunità cristiane dei primi secoli, quando il Battesimo era dato soprattutto ad adulti e richiedeva una lunga e accurata preparazione, che durava tre o più anni, chiamata “catecumenato”. Oltre all’istruzione sulle verità della fede, la graduale conoscenza delle Scritture, la pratica della preghiera, l’itinerario di iniziazione prevedeva anche l’allontanamento da condotte non compatibili con le richieste del Battesimo e l’assunzione di comportamenti a esso coerenti.

Tra le pratiche messe in atto c’era anche il digiuno prolungato, che voleva esprimere docilità a Dio, partecipazione alla morte di Cristo per entrare in comunione con la sua vita di Risorto, liberazione dalle pulsioni e purificazione dalle colpe commesse. Il Battesimo veniva celebrato durante la Veglia Pasquale, e i quaranta giorni che la precedevano vedevano un impegno particolarmente intenso di ascesi, preghiera, purificazione, con un uso frequente del digiuno a imitazione di quello praticato da Gesù nel deserto dopo il suo Battesimo.

E questo legame con il Battesimo è un significato che la nostra Quaresima conserva con chiarezza, in modo particolare in questo anno liturgico che prevede le Letture della Messa dette del “ciclo A”. Nella terza, quarta e quinta domenica di questa Quaresima si leggono i racconti evangelici del dialogo di Gesù con la Samaritana, della guarigione del cieco nato e della risurrezione di Lazzaro. Erano proprio questi brani di vangelo che venivano usati nelle ultime settimane del catecumenato, perché aiutavano a comprendere il significato del Battesimo attraverso i temi dell’acqua, della luce e della vita che essi contenevano.

Più avanti nella tradizione liturgica la Quaresima era anche l’ultimo periodo di penitenza, che prevedeva anche il digiuno, per coloro che avevano commesso colpe gravi e che avevano accettato la severa disciplina di una lunga e impegnativa preparazione in vista della celebrazione del perdono nel sacramento della Riconciliazione. Anche questo aspetto penitenziale caratterizza la nostra Quaresima.