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Elide Siviero

11 settembre torri gemelle

Sono passati 21 anni dall’attentato alle Torri gemelle di New York dell’11 settembre 2001. Fra lo stupore, lo spavento, l’incredulità e la trepidante attesa vedevamo alla televisione delle scene raccapriccianti. Io mi ricordo quella delle persone che si gettavano dalle finestre e quella dei fogli che volavano in cielo: documenti, pagine di libri, fogli di giornali che, mossi dallo spostamento d’aria creato dall’impatto degli aerei sui grattacieli, volteggiavano leggiadri creando un effetto ancora più straniante di quelle immagini. Ho letto in un giornale che dal cielo scesero sui marciapiedi anche delle pagine di un dizionario.

Alcuni giorni dopo il crollo dei grattacieli un signore raccolse una di quelle pagine fra le pietre delle macerie e leggendo quel foglio trovò che c’erano scritte le parole, “perversione” “perverso”, termini che sembravano descrivere quello che era successo e chiudere in un solo vocabolo quell’atto criminale che aveva provocato migliaia di morti. Ma voltando il foglio, nell’altra facciata vide le parole “perseveranza” “perseverare”, quasi a indicare la via per riemergere e risollevarsi.

Quei lemmi divennero per lui un invito, un incitamento: decise che in quei giorni terribili e concitati egli avrebbe fatto prevalere la perseveranza sulla perversione, avrebbe deciso di vivere la parte del foglio che era utile, non quella che siglava il male. E così si mise a preparare il cibo per coloro che stavano lavorando per spostare macerie e recuperare persone: era infatti un cuoco e quello sarebbe stato il suo modo di aiutare il prossimo in quei giorni orribili.

È davvero interessante questa vicenda: ci racconta che sta a noi scegliere quale facciata del foglio della nostra vita vogliamo vivere. Quando ci sono difficoltà, malattie, lutti, paure; quando tutto sembra crollare, sta a noi decidere come vivere quella realtà: se nella sfiducia che constata solamente lo sfacelo del male o nell’impegno che ci fa perseverare nel bene. Se nel lamento costante di chi vede solo la sua difficoltà o nell’attenzione verso gli altri che dona aria nuo-va anche alla nostra esistenza.

Mi tornano in mente i versi di una famosa preghiera di Santa Teresa di Calcutta:

Signore, quando ho fame,
mandami qualcuno da sfamare.

Quando ho sete,
mandami qualcuno da dissetare.

Quando ho freddo,
mandami qualcuno da scaldare.

Quando sono triste,
mandami qualcuno da consolare.

Quando sono povero,
mandami qualcuno più povero di me.

Quando non ho tempo,
mandami qualcuno da ascoltare.

Quando mi sento incompreso,
mandami qualcuno da abbracciare.

Quando sono scoraggiato,
mandami qualcuno da incoraggiare.

Quando sono umiliato,
mandami qualcuno da lodare.

Quando non mi sento amato,
mandami qualcuno da amare.

Ecco quindi la soluzione: ognuno di noi ha sempre in mano una pagina dalle due facciate; sta a noi decidere quale facciata vogliamo vivere. Questo decentramento avrà un effetto benefico anche per noi stessi, non solo per coloro che potranno ricevere le nostre attenzioni. La generosità dona felicità, perché è come un profumo che non puoi versare sugli altri senza che qualche goccia ti cada addosso.