Anno 134 - Febbraio 2022

Non si parla con gli occhi chiusi

Don Livio Tonello, direttore

È più facile parlare che ascoltare. Ma tutto nasce dall’ascolto. Cioè dal prendere consapevolezza di ciò che accade, dalle esperienze di ogni giorno. Un ascolto che è molto più che sentire giacché i nostri sensi sono continuamente stimolati da messaggi. Per fortuna che si genera una inconscia selezione delle informazioni altrimenti non riusciremmo a gestirle. Altre volte l’attività selettiva è voluta.

Succede nel prestare attenzione a qualcuno di noioso, che ripete le stesse cose: ciò che dice scivola via. Anche la fede nasce dall’ascolto (fides ex auditu, diceva san Paolo nella lettera ai Romani al capitolo 10 versetto 17). L’adesione credente si origina nel prestare attenzione al linguaggio di Dio che ci raggiunge e nella conseguente corrispondenza. Una riflessione, questa, suggerita dalla festa (15 febbraio) della lingua incorrotta di Sant’Antonio, al quale rinnoviamo la nostra devozione.

Nella sua vita è stato evidente il legame tra l’ascoltare e il parlare. Lo ricordiamo come grande predicatore, dotato di profonda conoscenza della Scrittura, capace di tradurre le narrazioni bibliche in esortazioni convincenti. Una parola forte, la sua, che non si fermava di fronte a nulla, nemmeno all’arroganza e all’alterigia del potere. Da dove tale capacità di attualizzare la Parola del Signore?

Sicuramente per la perspicace abilità di ascolto della vita quotidiana. Un ascolto che significava occhi aperti sulle vicende e sulle dinamiche umane; attenzione alle povertà e alle sofferenze della gente; considerazione di coloro che subivano soprusi e vendette; prontezza nell’intervento solidale. Una simile lettura e comprensione del mondo richiede una certa intelligenza anche oggi. Non bastano i proclami e le buone intenzioni. Ci sono persone che disquisiscono su tutto senza aver mai toccato con mano i problemi.

Lo fanno spesso dalla scrivania di un comodo ufficio. Abbiamo avuto invece esempi splendidi di eroi della carità che si sono immersi nelle miserie del mondo. Penso a madre Teresa negli slums di Calcutta o a padre Alex Zanotelli nella baraccopoli di Korogocho a Nairobi, solo per citare nomi conosciuti ai più. Scelte di vita che sono in se stesse parola credibile. Solo la condivisione della vita e delle vicende altrui autorizza a proferire parole pertinenti.

È l’ascolto vero delle problematiche di questo mondo che permette di agire con autenticità. Le ore passate a stringere la mano del malato trasudano di umanità. Quanti cambiamenti sono avvenuti nel momento in cui non si è parlato dei poveri e degli ultimi, ma si sono lavati loro i piedi. Solo incontrando l’altro concreto è possibile sentirne la voce carica di umanità. Le persone hanno bisogno di essere accolte oltre che aiutate.

E il tempo investito ad ascoltare il racconto della loro vita rende maggiormente efficace l’aiuto materiale successivamente offerto. Se la bocca parla della pienezza del cuore, questo non si riempie di buone intenzioni se orecchi e occhi rimangono chiusi.

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