Anno 134 - Maggio 2022

Nella Sala del Capitolo

Alfredo Pescante

Nei secoli parte d’affreschi di chiese o àmbiti sacri scompaiono per l’umidità; raschiati da imperiti, non rispondono più ai gusti dei tempi; cambia funzione l’ambiente che li ospita, coperti da calcina a causa della peste: vicissitudini che han manomesso l’integrità e la bellezza della Sala del Capitolo, nata nei primi decenni dalla morte del Santo, centro di vita della comunità religiosa antoniana (riservata un tempo alle riunioni dei frati e ora trasformata in Cappella).

L’originaria architettura: ampia sala coperta da soffitto ligneo a travature visibili, ricca di luce fornita dalle pareti con ampie finestre sul Chiostro della Magnolia (contiguo alla Basilica del Santo). Nel XV secolo una nuova volta in muratura distrugge parte degli affreschi d’inizio ’300, sostiene la prof.ssa Francesca d’Arcais. L’affermazione è suffragata da recenti indagini d’alcune equipe di specialisti, da studiosi dell’Università di Padova e da un gruppo internazionale di ricercatori del Politecnico di Zurigo, assoldati dai frati e dalla Veneranda Arca del Santo.

A supportare il tutto, da un trentennio, valide pubblicazioni del Centro Studi Antoniani diretto da padre Luciano Bertazzo, specie a firma di Enrica Cozzi, Laura Gaffuri e Luca Baggio, che han indotto a conclusioni certe: i dipinti, datati al 1302-1303, precedono quelli degli Scrovegni e del Salone. In passato i visitatori non han potuto stimare gli affreschi perché monchi, sbiaditi nei colori, non del tutto leggibili, più volte ridipinti. Michele Savonarola nel 1440 scriveva: «Giotto decorò il Capitolo del nostro Antonio così bene che molti pittori stranieri affluivano a Padova per ammirare le figure». L’Anonimo Morelliano: «Nel Capitolo la Passione, affresco che fu de man de Giotto Fiorentino» (foto a lato: la Sala del Capitolo).

Assodata la paternità del ciclo a Giotto e bottega, nel 1842 lo storico d’arte Pietro Selvatico, con poca fortuna, pensa di liberare le pareti a trovar meraviglie. Miglior sorte arride, un decennio dopo, a fra Bernardo Gonzati e al fratello don Vincenzo che rinvengono quanto oggi s’ammira. Gli studiosi sostengono la fondata possibilità di ritrovare in buona parte quanto Giotto impresse di sua mano: la splendida Crocifissione, scene francescane e uno stuolo di Santi, aiuto alla meditazione dei frati. Ammireremo, «grande ventura per tutto il mondo civile», con l’alta qualità dei dipinti, la novità dell’impianto spaziale così sapientemente articolato, a testificare la gloria di Padova negli studi di prospettiva.

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