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Lotta e sorridi: l’amore di due genitori

Laura Galimberti

Una gravidanza inizialmente tranquilla. Poi la necessità di rimanere a casa, immobile. Il parto difficile. «Un’operazione impegnativa – ricorda il papà, Roberto – Nella terapia intensiva sentivo la musica di Braccio di ferro. Azzeccatissima. Poi, come nei film, ci hanno convocato per dirci che il bimbo, Mario, aveva avuto un ictus infantile e all’80% avrebbe sviluppato una emiparesi al lato sinistro del corpo.

Le statistiche dicono sempre quello che non puoi fare!». Aveva appena 10 giorni. «La risonanza magnetica confermava che la parte destra del cervello era danneggiata – spiega Francesca, la mamma – L’effetto che poteva avere era non solo di non permettergli di controllare la parte sinistra del corpo, ma del mondo». Dal disorientamento iniziale parte la ricerca in rete, via mail. «Mettevamo tutti gli oggetti nella culla a sinistra, cercavamo di orientarlo in tal senso, poi massaggi continui.

È stato fondamentale accorgercene subito – sottolinea Roberto – Non abbiamo detto nulla a nessuno, neanche ai nonni, inizialmente. Perché non vuoi raccontarla, alla fine ti vergogni». «E poi il senso di protezione – aggiunge Francesca – Perché dovevo dirlo in giro, rovinandogli il futuro, quando magari sarebbe guarito?». «Cercavamo solo medici. Tutto il resto sembrava solo un fastidio – ricorda Roberto – Pensavamo di aver fatto un figlio “rotto”.

E poi un giorno abbiamo scoperto che Mario non stava guardando la nostra mano che gli mostrava gli esercizi in maniera meccanica. Guardava noi. Noi eravamo il suo specchio. Quel giorno ha veramente cambiato la nostra prospettiva. Ci siamo resi conto che dovevamo diventare uno specchio migliore per lui». Così Francesca e Roberto ripartono dalle loro passioni: «leggere, ascoltare musica, viaggiare, fare le cose che amavamo, ma ora farle insieme a Mario». I pezzi del puzzle si ricompongono gradualmente: «Il percorso di cura non doveva essere focalizzato su ciò che mancava a nostro figlio, ma su di lui, nella sua totalità di piccola persona».

Poi l’importanza dell’ambiente, della qualità della presenza. «La terapia funziona se c’è un contesto positivo. L’impatto con la quotidianità e con i pari aiuta tantissimo i bambini» e la scoperta dell’importanza dei neuroni specchio, “ovunque”. Nasce così nel 2014 Fight the stroke, una fondazione che supporta la causa dei giovani – 2/3 ogni mille – sopravvissuti all’ictus e con una disabilità di paralisi cerebrale infantile. Francesca Fedeli e Roberto D’Angelo ne sono i co-fondatori. La loro storia è raccontata nel libro “Lotta e sorridi”, edito da Sperling&Kupfer nel 2015 e tradotto anche in tedesco per Bastei Lubbe nel 2018.

La notizia inizia a circolare. «Li ho conosciuti per puro caso in tempi non sospetti tramite un video sui social – racconta Valentina, psicologa e mamma di un ragazzo con emiparesi – Non avevo ancora avuto mio figlio. Poi durante uno dei tanti ricoveri che lo hanno interessato leggo di una presentazione del loro libro, un testo illuminante scritto da chi ha toccato la disabilità e l’ha saputa trasfigurare». Sempre in rete viene a scoprire che la Fondazione stava cercando bambini per un progetto di ricerca. «Scrivo e veniamo selezionati. Così è iniziata la nostra avventura insieme».

Dal percorso “Mirrorable” – un progetto di tele-riabilitazione, attivato ben prima del Covid, con una coppia di bambini con caratteristiche simili che si allenano online e nomi illustri in campo scientifico – al primo “Fight camp” a Milano, per riabilitare i ragazzi attraverso lo sport. «Fight the stroke è una realtà che dal basso mette insieme bambini, genitori, medici – spiega Valentina – Sembrava tutto accadesse per noi. Mi ha colpito la loro passione, determinazione, grinta granitica, la capacità di entrare in empatia con le persone.

Quanto propongono è sempre di una incredibile serietà. Per mio figlio andare ai camp è semplicemente giocare. La riabilitazione attraverso la gioia, lo sport, il piacere di stare insieme, fatica compresa, supera qualunque terapia». Sul campo infatti i bambini si vedono come gli altri. «Ragazzi con emiparesi spesso non praticano attività sportive. Lì tutti avevano difficoltà simili, ma erano anche invogliati a sfidare quei limiti». Non solo italiani: alcuni venivano dall’Alaska, altri dagli Stati Uniti. Valentina mette a disposizione le sue competenze per attivare anche una rete tra genitori, informale, attraverso un semplice caffè condiviso. «È stata importantissima.

Non è solo la disabilità del figlio ad atterrare o atterrire i genitori, ma la battaglia con burocrazia, giri, incomprensioni». La diagnosi precoce e le nuove tecniche riabilitative basate sul concetto dei “neuroni specchio” e sull’applicazione della tecnologia alla medicina rappresentano solo alcune delle battaglie portate avanti dalla fondazione, un movimento che continua a far conoscere la propria storia attraverso eventi di risonanza mondiale come il TED Global (2013) e il World Business Forum (2015).

Tra gli altri progetti attivati: la creazione di un centro specifico all’Ospedale Pediatrico Gaslini di Genova, primo centro in Italia per diagnosi, ricerca e assistenza a neonati e bambini sulla patologia dell’ictus neonatale e pediatrico. Fino alla promozione dei campus estivi di avviamento allo sport offerti gratuitamente ai giovani con disabilità in tutta Italia, grazie alla collaborazione con il Comitato Italiano Paralimpico. Oggi la Fondazione raggiunge circa 1.000 beneficiari diretti – tra bambini e giovani adulti – e 10.000 portatori di interesse intorno alla tematica della paralisi cerebrale infantile in Italia. Per informazioni e contatti: https://www.fightthestroke.org