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La vestizione di Antonio

Alfredo Pescante

«Va’, ché diventerai santo!». L’uomo di Dio risponde umilmente: «Quando udrai dire che son divenuto santo, loderai il Signore». Botta e risposta tra un canonico agostiniano e Fernando, ora chiamatosi Antonio, dispiaciuto il primo che l’amico lasci il monastero di Santa Croce di Coimbra.

Il figlio di Martino Buglione, stanco del modo di vivere dei canonici e del priore della comunità, cerca nido tra i seguaci di san Francesco la cui vita evangelica è appena stata esaltata (16 gennaio 1220) dai frati Beraldo, Ottone, Pietro, Accursio e Adiuto, martiri in Marocco.

Per lui è una rinascita, per altri quasi un capriccio, a genitori e parenti un colpo troppo forte perché prevede il martirio. Non a Marrakesh bensì in terra italiana Antonio matura lo spogliarsi del suo io fino a divenire predicatore itinerante, scelta voluta da Dio.

La metamorfosi dell’esistenza antoniana è godibile nel primo altorilievo della cappella dell’Arca che inizialmente doveva contemplare “il miracolo della mula”. Lunga la vicenda del pannello marmoreo affidato nel 1501 dai massari della Basilica allo scultore Antonio Minello.

Questi lo consegna nel 1517 e non viene adeguatamente retribuito perché giudicato “goffo”. La scena divisa in tre momenti, con undici personaggi, nonostante tutto è amata dai fedeli che, entrando in cappella, posano la mano sulla gamba di frate Antonio inginocchiato a ricevere il saio.

Gli attori? Pochi intimi: Antonio, il guardiano, i frati, la famiglia, il solito piccino con il dito in bocca, l’amico agostiniano e il soldato vigilante la porta semiaperta che il Santo imbocca a nuova vita.