Anno 131 - Novembre 2019Scopri di più

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Io, Antonio e la Natura

Lorenzo Brunazzo

Non si sono ancora dissipati nell’aria i fumi dei roghi della foresta amazzonica, che minacciano l’esistenza del più grande polmone verde del pianeta e del più ricco deposito di biodiversità, che l’opinione pubblica mondiale viene sollecitata a riflettere su un grande tema ecologico ed economico insieme: la patologia vegetale.

Potranno i buoni propositi fare argine alle cattive azioni? L’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) ha dichiarato il 2020 “Anno internazionale della salute delle piante” sottolineando come dal 20 al 40 per cento della produzione di cereali venga ogni anno distrutta dalle malattie botaniche che provocano danni valutabili intorno ai 220 miliardi di dollari, a cui si aggiungono i 70 miliardi causati dagli insetti.

Aldilà dei costi, a cui il mondo moderno è particolarmente sensibile, e anche aldilà dei danni ambientali causati dal diffondersi a livello globale di parassiti distruttivi come la mosca orientale della frutta, mi sembra giusto rilevare come l’empatia del genere umano, che è un dono e una risorsa fondamentale, debba estendersi al mondo vegetale, pure così lontano dai nostri parametri di immedesimazione.

Un essere vivente che non si muove e non emette suoni difficilmente viene riconosciuto nella sua componente vitale. Eppure ogni tanto ancora oggi rifugio il mio spirito nella grotta persa tra i boschi che mi ospitò, per troppo poco tempo ahimè, dopo il capitolo delle Stuoie (Pentecoste del 1221) e guardo con tristezza le macchie di olmi sulle colline, insidiate da malanni incurabili che qua e là ne fanno seccare le foglie: non posso fare a meno di immaginare il loro pianto.

Come mi capitava, nelle ultime settimane della mia vita terrena, di abbracciarmi ai rami del noce sopra il quale mi ero rifugiato, a Camposampiero, per trovare un po’ di respiro; non credo realisticamente, che esso avvertisse la mia presenza, eppure il suo contatto mi dava conforto, quasi ci fosse un legame profondo, una strada diretta tra la sua fibra scabra e il Dio di tutte le cose.

Nella mia predicazione, per ammaestrare e convincere le moltitudini, diedi a ogni parte dell’albero buono, quello che produce buoni frutti al cospetto del Signore, un significato morale. Le radici che, quasi fossero raggi, si estendono sotto terra per l’intero volume della pianta, rappresentano la vera umiltà, che quanto più penetra nel profondo, quanto più si abbassa, tanto più in alto viene esaltata.

Il tronco è simbolo dell’obbedienza, che vince l’ostinazione del cuore, i rami della carità, le foglie della santa predicazione e i frutti della dolcezza della santa contemplazione. D’altra parte in tutta la Bibbia l’albero, che è insieme profondamente radicato nella terra e si erge al di sopra di tutti gli altri esseri viventi, è simbolo del legame tra cielo e terra.

Il Signore nel giardino in Eden fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi, tra cui quello della vita e della conoscenza del bene e del male. L’uomo peccatore è reso mortale dal divieto di prendere i frutti dell’albero della vita che lo farebbero vivere per sempre. Quell’albero proibito dopo il peccato originale è stato restituito da Cristo in croce.

Nell’Apocalisse l’albero della vita, piantato nel mezzo della piazza della Gerusalemme celeste, sarà dato in premio di vittoria ai beati. Di altre piante ebbi la gioia di tessere la mia predicazione. Il nobile cedro alto, profumato e incorruttibile come la vita del giusto. La palma che, come Maria, si veste nel tronco della ruvida corteccia della carità e fiorisce in cielo dei frutti dolcissimi della grazia.

La vite, che simboleggia la fede in Cristo quando si radica nel cuore dell’uomo producendo grappoli di opere buone ricolmi del mosto dell’amore. E infine il fiore che mi è stato consegnato come emblema, il giglio del campo, non del giardino, medicamentoso, candido e profumato.

Neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva un abito simile. E io lo tengo in mano accanto al libro di sapienza perché non c’è vera sapienza senza la rettitudine delle intenzioni.